Come nasce un brand ecosostenibile? Scarti di frutta, cotone, poliestere e gomma riciclati tra le materie prime; una scatola di carta riconvertita per il confezionamento; una pallina di terra e semi di fiori in omaggio, da piantare o da lanciare in un giardino della propria città per attrarre le api; la consegna in bicicletta ai clienti fisicamente più vicini e un percorso ThinkGreen per quelli a distanza.
Ecco tutti gli elementi caratteristici della proposta creativa di ID.EIGHT , marchio italiano di sneakers ecosostenibili creato da Dong Seon Lee e Giuliana Borzillo, rispettivamente designer e product manager, ma anche coppia che ha unito due storie personali e professionali per dar vita a un progetto di calzature dal cuore innovativo, a basso impatto ambientale e Made in Italy.
MODA, CAMBIAMENTO E CIRCOLARITA'
Si tratta di modelli unisex, ispirati al design anni ’90, in diversi colori e sempre aggiornati con nuove proposte. L’idea è quella di creare scarpe che non passino di moda, realizzate su pre-ordine online, di modo da permettere l’ottimizzazione dei materiali necessari per la produzione.
Alla base di tutto, un lavoro complesso e costante di ricerca e studio che permette a ID.EIGHT (ID, come identità, ed Eight per il numero otto, che incarna l’infinito) di abbracciare una filosofia di rigenerazione ed eco-sostenibilità. Una r-evolution che parte dalla consapevolezza che il cambiamento inizia da noi, dalle aziende, dalla collettività.
Com'è nata l'idea di disegnare, produrre, vendere sneakers ecosostenibili?
Prima di nascere come coppia di imprenditori siamo nati come coppia nella vita. Io ho maturato un’esperienza decennale nell’ufficio stile di diversi brand di scarpe Made in Italy. Mio marito Dong si è laureato in Moda a Seul con specializzazione nel design delle calzature ed è arrivato a Firenze nel 2006 grazie a una borsa di studio. L’idea di lanciare una linea di sneakers ci è sembrata, a un certo punto, l’approdo naturale delle nostre conversazioni sulla moda e sulla necessità di un cambiamento sostenibile . È nata così ID.EIGHT, ID come identità e EIGHT come otto, che è anche il simbolo dell’infinito.
Come siete arrivati a scegliere dei materiali come gli scarti alimentari?
Ci siamo chiesti se sul mercato fossero disponibili materiali alternativi alla pelle, formulati per avere un impatto ambientale minore rispetto a quelli composti prevalentemente di derivati del petrolio . Abbiamo scoperto così che tutti i brevetti sviluppati avevano in comune l’uso degli scarti della frutta. Questi contengono dei polimeri vegetali, la lignina e la cellulosa, adatti ad essere trasformati in resine . La ragione di questa scelta particolare è tutta nella sostenibilità di questi materiali particolari che conservano, comunque, proprietà utili per la realizzazione di scarpe.
È stato facile trovare le aziende che lavorano gli scarti alimentari?
Abbiamo avuto un primo contatto con le nuove realtà del tessile sostenibile nelle fiere di settore. Successivamente abbiamo approfondito con ricerche su Internet.Recentemente abbiamo conosciuto Good Sustainable Mood , una linea di t-shirt in fibra di latte ricavata dalle eccedenze dell’industria casearia.
Il tessuto che ne viene fuori è una vera coccola per la pelle! Credo che al di là degli scarti alimentari, la circolarità sia un asse di sviluppo importante per la moda sostenibile italiana. A questo proposito, un brand che stimiamo molto e con il quale abbiamo diversi punti in comune è Rifò, una linea di maglieria prodotta a Prato con cashmere e cotone rigenerato, riprendendo la tecnica antica dei cenciaioli, che sfilacciavano gli abiti dismessi e li separavano a seconda del colore per ricavarne dei nuovi filati.
Un brand ecosostenibile dal fortissimo lato umano.
Quante persone formano la vostra squadra di lavoro?
La maggior parte del lavoro è distribuita tra me e mio marito Dong. Io mi occupo di coordinare le attività necessarie allo sviluppo e al lancio del prodotto e di selezionare i partner commerciali. A Dong spetta tutta la parte creativa, dalla progettazione delle sneakers alla creazione dei contenuti grafici e fotografici presenti sui social e sull’e-commerce. Discutiamo insieme ciò che riguarda la componente tecnica delle calzature, dalla selezione della gamma di materiali alle varianti di colore e texture. Invece, la gestione dell’e-commerce e la redazione dei contenuti è affidata a due collaboratori esterni, Cristian e Ludovica.
Avete una sede per il vostro brand ecosostenibile?
Sì, siamo una start-up piccola e nuovissima . La sede di ID.EIGHT è la bellissima Firenze, città che ci ha formato e ci ha fatto crescere professionalmente. Qui abbiamo trovato nuove amicizie anche tra i nostri clienti e sostenitori.
Poi, Dong e io, consegniamo ai fiorentini le scarpe rigorosamente in bicicletta e la sensazione che si prova incontrandoli all’uscio di casa o davanti al portone di un palazzo antico è straordinaria! Per noi significa unire la modernità di un brand molto social e dal respiro internazionale al contatto umano e amichevole che si può avere solo comprando da una piccola attività locale. Questa consapevolezza la notiamo anche negli sguardi di quelli che a Firenze aspettano l’arrivo delle sneakers, curiosi di conoscerci e di scambiare qualche parola al di fuori delle barriere digitali.
Sicuramente sul vostro percorso avrete incontrato delle difficoltà. Qual è stata quella più dura da superare?
Per prima cosa abbiamo superato l’ostacolo primario e fondamentale ogni designer indipendente deve affrontare: quello finanziario. Grazie a un crowdfunding , che si è concluso con un risultato al di sopra delle nostre aspettative. Abbiamo infatti raccolto 36.000 euro dai nostri sostenitori, triplicando la somma che ci eravamo proposti di 10.000. Proprio questa settimana (del 8 febbraio, NdR) festeggeremo il primo anniversario del lancio del crowdfunding con una serie di eventi digitali su Instagram e Zoom.
La parola sostenibilità è molto utilizzata di questi tempi. Per voi, cosa significa?
La sostenibilità è qualcosa che deve incorporarsi nelle fondamenta dell’azienda sin dalla sua nascita. È praticamente impossibile che un brand con una produzione di massa possa diventare sostenibile nel giro di pochi anni, nonostante le operazioni di greenwashing che servono solo ad abbagliare i consumatori.
Ci rifacciamo alla definizione che ne diede la prima Conferenza sull’ambiente dell’ONU nel 1992: “la sostenibilità è un modello di sviluppo in grado di assicurare la soddisfazione dei nostri bisogni attuali senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri". Nella moda questo concetto si traduce nello slow fashion: una produzione lenta, che non spinge all’acquisto compulsivo e al di sopra delle proprie esigenze reali, che usa materiali a basso impatto ambientale e riciclati.
Qual è il vostro ideale di design, nel quotidiano?
I simboli del design nel nostro quotidiano sono due oggetti di culto: un frigorifero Fab28 rosso fiammante della Smeg e la Moka della Bialetti. Sono una perfetta rappresentazione di come il gusto italiano per il bello sia riuscito a trasformare anche gli elettrodomestici e gli utensili in oggetti di arredamento immortali, rivisitabili negli anni e sempre funzionali.
SOSTENIBILITA' SOCIALE E COLLABORAZIONE
La lavorazione delle vostre sneakers è 100% fatta in Italia, nelle Marche, terra di grandi artigiani delle scarpe. Cosa significa collaborare con un'azienda famigliare che si dedica a questa vera arte?
Prima di tutto significa dare realizzazione alla sostenibilità sociale, aspetto inseparabile da quello ambientale se ci si vuole definire etici. Affidare la produzione a una piccola azienda significa avere un riscontro immediato degli esiti tecnici di un prototipo ed è importante porsi in un dialogo aperto e incessante con tutti i dipendenti, ognuno portatore di una propria esperienza preziosa, alla ricerca di soluzioni per migliorare il prodotto.
Un aspetto interessante in questo periodo è capire e sentire come le aziende e il mondo dell'artigianato hanno reagito alla pandemia. Credo che nel vostro caso, la comunicazione strutturata e veicolata sul digitale sia stata una chiave di volta. Come affrontate l’emergenza COVID, da un punto di vista umano e anche business?
Paradossalmente il fatto di essere una start-up ci ha risparmiato dagli effetti più devastanti della crisi, che invece hanno colpito in pieno tutte quelle attività che avevano poche o nessuna possibilità alternativa di continuare ad offrire i propri servizi e prodotti a distanza. Anche nelle nostre intenzioni originarie, il mondo digitale e i social ci apparivano come gli strumenti principali per la ricerca di nuovi clienti e partner commerciali.
Come detto in precedenza, inoltre, grazie al crowdfunding abbiamo raggiunto una somma sufficiente a finanziare la prima produzione e a farla conoscere poco prima che venisse calata la scure della quarantena nazionale a marzo, quando ancora pochi esperti erano in grado di fare previsioni su ciò che ci avrebbe atteso nei mesi avvenire.
Dal punto di vista della strategia social, compresa l’eccezionalità del momento storico che pesava collettivamente, abbiamo deciso di mettere da parte la comunicazione tipica di un brand di moda, focalizzata principalmente sulla presentazione del prodotto da vendere, spostandoci invece sul racconto delle emozioni e delle esigenze che in quel momento ci univano al pubblico. Abbiamo trasformato le nostre storie Instagram ora in una finestra aperta sulla nostra quotidianità di coppia, ora in una sorta di magazine con rubriche a tema in cui proporre film, documentari, musica, quiz e notizie interessanti.
Cosa significa per voi avere due modi diversi di vedere il mondo, due culture diverse, come quelle coreana e italiana?
L’incontro di culture e sensibilità estetiche diverse è confluito principalmente nel design delle nostre sneakers, che se da una parte poggia su linee e forme rigorose e funzionali, immediatamente riconoscibili al pubblico italiano e in particolare al target nato a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90, dall’altra parte si carica di estrosità con una gamma di colori fluo e combinazioni accese e con il dettaglio delle frecce che richiamano il logo del brand. Questi elementi sono di derivazione coreana e li dobbiamo alla vena creativa di Dong che ha voluto ispirarsi alle luci al neon di Seoul, ai videogiochi e ai fumetti che lo divertivano da bambino.
Possiamo dire che la provenienza da continenti lontani è stato uno degli elementi che ha contribuito ad evidenziare la nostra proposta come nuova e speciale, prima ancora di aprire il discorso sulla sostenibilità e permettendoci di conquistare un pubblico trasversale.
Italian Bees parla di eccellenza, di un’italianità radicata e spontanea specialmente nell’artigianato. Parla di un sistema molto simile a quello dell'alveare. Qual è secondo voi la chiave, in questo sistema che permetterà una svolta di successo verso il futuro?
In Italia abbiamo non solo una tradizione artigianale e tessile legata a una rete storica di piccole e medie imprese, ma anche tanti giovani e talentuosi designer che hanno investito tempo e soldi per la propria formazione e che sanno sfruttare il digital, i social e i marketplace come altoparlante per la propria nicchia. Sarebbe importante sostenerli con misure di agevolazione fiscale e di semplificazione burocratica, oltre che con finanziamenti.
La chiave del successo potrebbe essere proprio puntare sulla crescita dei nuovi progetti di moda indipendente, quelli che nascono nelle accademie e negli istituti di design, tracciando un ponte fra questi e le produzioni Made in Italy.
Articolo di Francisca Gutierrez
Data di pubblicazione: 24 Febbraio 2021