Giovedì gnocchi! Perché si dice così?
Articolo di Silvia Lago

Gli gnocchi sono un piatto nato intorno al XVI secolo, quando in Italia si diffusero le patate provenienti dall’America. Nei secoli precedenti era diffusa una ricetta simile, ma dalla consistenza diversa poiché composto da sola farina, acqua e uova. 

Oggi noi siamo soliti usare l’espressione “giovedì gnocchi”, ma ne conosciamo il reale significato? Quando nasce questo modo di dire? Scopriamolo insieme!


Quando si diceva: “Giovedì gnocchi, venerdì pesce e sabato trippa”

Questo particolare modo di dire risale al periodo immediatamente successivo alla Seconda Guerra Mondiale. La povertà dilagava e le famiglie cercavano in tutti i modi di ingegnarsi per usare in modo ottimale le poche risorse a disposizione. 

Gli gnocchi erano considerati un piatto sostanzioso e calorico, proprio per questo motivo venivano consumati di giovedì: in questo modo, si riusciva poi ad affrontare il venerdì, giornata in cui i pasti erano più leggeri e scarsi. 

Il venerdì, infatti, era il giorno del digiuno secondo la religione cattolica e perciò non si mangiava carne. In mancanza di essa, si consumavano pesce e legumi. 

Al sabato, infine, le famiglie contadine preparavano la trippa con i tagli meno pregiati di manzo. Il sabato, infatti, era il giorno in cui i macellai si occupavano della macellazione, per preparare tagli pregiati e venderli alle famiglie agiate.



La storia degli gnocchi, dal ‘600 a oggi

Avrete certamente sentito parlare dei “malfatti”: nel ‘600 erano chiamati così gli gnocchi ed erano preparati a base di farina, uova e acqua. Ovviamente avevano una consistenza molto diversa, da cui deriva il loro nome. 

Anche in Lombardia era presente una ricetta simile: in particolare, presso gli Sforza, durante i festeggiamenti militari e in occasione dei matrimoni si usava servire gli “zanzarelli”. Questa tipologia di gnocchi veniva preparata con mollica di pane, latte, mandorle tritate e cacio lodigiano. All’impasto venivano aggiunti gli spinaci, per dare un colore verde agli gnocchi e un colore dorato al brodo in cui venivano cotti. Non era una scelta casuale, infatti l’oro voleva simboleggiare la ricchezza della casata.

Gli gnocchi che conosciamo oggi, invece, risalgono al 1500, il periodo in cui inizia l’importazione di patate dalle Americhe. Sembra che la ricetta sia stata inventata nella zona di Sorrento e che sia stata resa famosa dall’aggiunta del condimento a base di pomodoro, mozzarella e basilico. 

Nel corso dei secoli si sono quindi diffuse numerose varianti di gnocchi, che però verso la fine dell’800 sono scomparse con l’introduzione degli gnocchi di patate, che ancora oggi vengono preparati in tutta Italia. 



Le varianti degli gnocchi in Italia

In Italia esistono quasi infinite varianti di gnocchi. Dall’impasto al condimento, in ogni regione, anzi provincia, c’è una tradizione diversa e un modo particolare di prepararli. Dal classico condimento con burro e salvia o sugo di pomodoro, fino agli gnocchi preparati con farine particolari o con l’aggiunta di diversi ingredienti. I primi che vengono in mente sono certamente gli gnocchi alla romana, che vengono preparati con farina di mais, latte, uova e gratinati col pecorino. 

In Lombardia esistono tante varianti di gnocchi: gli gnòc dè schelt della Val Camonica, per i quali si utilizza un mix di farina di castagne, farina di grano saraceno e farina bianca, unito a uova, latte e sale; gli gnoc de la cua, che significa “gnocchi della coda”, il cui impasto prevede spinaci o erbette, pane raffermo e uova; gli gnocchi alla lariana, fatti di farina, uova, latte e aromi, conditi con robiola o salsa di pomodoro.

In Toscana abbiamo gli gnudi, gnocchi preparati con farina e ricotta. In Trentino ci sono gli spätzle, piccoli gnocchi preparati con farina di frumento o integrale, uova e acqua, a cui vengono aggiunti spinaci e ricotta, conditi con speck e formaggio.

In Piemonte esistono i cosiddetti gnocchi alla bava piemontese: il nome potrebbe far sorgere dei dubbi, ma in realtà si tratta di gnocchi di farina bianca e grano saraceno, conditi con fontina e toma piemontese. Il piatto caldo si presenta “filante” all’aspetto, da cui deriva il nome.


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