Utol, le ceramiche “ironiche” di David Romelli e Flavio Rossi

Articolo di Alessia Matrisciano

Utol è un piccolo negozio di ceramiche dal cuore grande, perché oltre a ospitare i lavori dei suoi proprietari mantiene un inesausto rapporto con il quartiere e i suoi artisti, in particolare i fotografi di cui ospita spesso e volentieri le esposizioni. Il viavai è particolarmente intenso, tanto che è difficile trovare del tempo per un’intervista: si intuisce che in pochissimi anni David e Flavio sono diventati un punto di riferimento nel quartiere Pigneto. Creano e vendono oggetti in ceramica, ma organizzano continuamente mostre ed eventi culturali in sinergia con tante altre realtà cittadine. 

Colpisce, tra gli oggetti esposti, una particolare vena ironica: notiamo in particolare una linea di tazze e di quadretti che simulano i bigliettini con cui tanti di noi, alle scuole medie, hanno chiesto al compagno di banco se voleva “mettersi con noi”. Scritte che sembrano fatte a matita e che stupisce ritrovare in un materiale solido come la ceramica. Poi ci sono le coppe, le spillette a forma di seno, e qui e là un uovo, un papavero…

Abbiamo chiesto a David e Flavio di raccontarci la loro attività artigianale, che già da subito ci è apparsa dinamica e frizzante.

Esposizione fotografica sulle ceramiche di Udol

Come nasce Utol? E perché questo nome così particolare?

DAVID: Utol nasce tra la Val di Fassa e Roma. Io infatti sono trentino mentre Flavio, il mio compagno e socio, è romano. Il periodo del Covid ci ha dato la spinta per reinventarci, per rendere realtà un sogno che era nato ben prima. 

Tutto è successo “per colpa” di Flavio, perché io sono sempre stato un grande appassionato di ceramica artigianale, giravo senza sosta tra mercatini e negozi; un giorno lui mi ha detto: “Tu che hai questa passione, questo gusto estetico, hai mai provato a mettere le mani nella materia?”. 

Utol è nato da un corso di ceramica regalato sei anni fa, che poi sono diventati due, tre, quattro corsi e infine un lavoro. La parola “utol” è un termine ladino che vuol dire “utile”. È un filo conduttore con le mie radici, una parola che viene da una minoranza linguistica della Val di Fassa dove sono nato e cresciuto.

FLAVIO: Abbiamo scelto la parola “utol” perché la nostra idea è creare oggetti che siano belli, ma allo stesso tempo diano piacere nell’utilizzarli: utili, appunto.


Che tipo di oggetti producete? Qual è il filo conduttore che guida il vostro lavoro?

FLAVIO: Noi facciamo un artigianato che ci piace definire artistico perché esce dai soliti canoni. Diamo alle nostre creazioni una veste alternativa, pur non perdendo di vista la loro funzionalità. Ad esempio, David ha creato una serie che noi chiamiamo “Terra”: sono ciotole create da materiali di scarto e sono sì utili, ma anche belle al tatto per via della loro consistenza particolare.

DAVID: Abbiamo anche una linea di oggetti creati da Flavio e ispirati all’erotismo, dove giochiamo con le forme di capezzoli, chewing-gum masticati, labbra e baci… un rimando alla vita vissuta e a suggestioni personali.

FLAVIO: Sì, c’è un filo rosso, un punto di vista pittorico che ci unisce. Ma io sono di Roma e David è trentino, quindi le sue opere sono più legate alla natura, ai fiori e ai rami, mentre le mie alla realtà cittadina. A volte, guardando le nostre creazioni, si può capire chi ha fatto cosa; a volte invece i nostri lavori nascono a due, dove uno inizia finisce l’altro.

Le ceramiche di Udol

Il vostro negozio è un continuo viavai, sia di artigiani-artisti come voi che di acquirenti e curiosi. Qual è il vostro legame col quartiere?

DAVID: Siamo al Pigneto da tre anni e da due anni ci siamo trasferiti nella sede attuale. Abbiamo scelto di aprire un negozio in questa zona perché qui si vive quasi come in un paese del Sud: la nostra unica porta finestra è sempre aperta in estate e noi diventiamo in qualche modo parte della strada. Siamo molto influenzati da quello che accade intorno a noi, le nostre ceramiche sono spesso legate alla realtà del quartiere.

FLAVIO: Il Pigneto nasce come quartiere popolare, ma negli ultimi anni ha subito un grande processo di gentrificazione. Ci piace ricordare che quando abbiamo aperto molte persone sono scese a ringraziarci per non aver inaugurato l’ennesimo bar o cicchetteria e per esserci dedicati invece a qualcosa di culturale. Il fatto che fossimo artigiani è stato apprezzato: la signora del primo piano è venuta a portarci del pane fatto in casa per ringraziarci, prima ancora di sapere bene cosa avremmo fatto di questo spazio.


La vostra realtà è ancora giovane, eppure c’è un grande fermento. Avete progetti per il futuro?

FLAVIO: Vorremmo continuare a collaborare, come già facciamo, con altre realtà artistiche e artigianali e anche uscire dal quartiere, aumentando l’interscambio tra le realtà. 

Per esempio, oltre alla mostra “Tracce” ospitata in questo periodo nell’ipogeo del bar Necci, abbiamo fatto un’esposizione al bistrò galleria Libera + Soon, una realtà molto bella vicino a Piazza Navona, curata dalla fotografa Eleonora Scuotipecora. Vogliamo continuare su questa strada.




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Articolo di Alessia Matrisciano