Pierobì: quando l’arte del gioiello è una questione di famiglia

Articolo di Rosaria Carifano

Soemo Biasetti si definisce un “guerriero” dell’artigianato del gioiello, e del Made in Italy in generale. In un mondo che sempre di più fabbrica in serie, bollando l’unicità di un pezzo come “difetto”, sente di essere in trincea per difendere una grande tradizione del nostro Paese. Quando ci accoglie nel laboratorio–showroom Pierobì, in via Zoccolari ad Avellino, sembra di essere in un luogo a metà strada tra un’officina meccanica e una bottega da alchimista, dove strumenti di ogni genere condividono lo spazio con tante forme luccicanti. «Effettivamente questo lavoro può essere considerato un po’ una via di mezzo tra la meccanica e la magia. Ma io mi considero di più come uno “chef” che, mettendo insieme i vari ingredienti e le tipologie di lavorazione, tira fuori il piatto, ossia il gioiello». La chiacchierata con Soemo si prospetta subito appassionata…

Com’è iniziata la sua passione per l’arte orafa?

«È una questione di famiglia. Il fondatore dell’azienda è mio padre e io sono letteralmente cresciuto nel suo atelier. Mi davano davvero le pappine mentre lo guardavo lavorare! Ho iniziato fin da piccolo a creare gioielli da uomo, sia per me che per la mia cerchia di amici. Fino a quando, in corrispondenza della maturità scolastica, ho deciso di dedicarmi a tempo pieno a questa attività. Sia perché ne avevo compreso le potenzialità, sia perché ormai mi ero innamorato di questo lavoro. È una soddisfazione grandissima realizzare qualcosa che un attimo prima era solo nella mente, oppure un semplice disegno. E quando tutto si completa con l’acquisto da parte di un cliente felice, è ancora più bello».

Quando è nata la ditta, e come si è evoluta?

«È nata nel 1976 come “Laboratorio Scuola Centro Arte Orafa Pierobì”. Nel tempo si è trasformata, passando da attività commerciale con annesso laboratorio a quella che è adesso, la ditta Pierobì con laboratorio, showroom e vendita a distanza. Siamo proprietari in licenza di un marchio commerciale distributivo, Manidor (acronimo di Manifattura e diffusione orafa) e di due marchi di linee originali di gioielli, per donna (Scie di luce) e uomo (Erman). Ci occupiamo di progettare il gioiello che andremo a realizzare, poi coordiniamo le varie fasi e le eseguiamo. Infine gestiamo i vari processi di vendita, che sono diversi a seconda del tipo di prodotto. Forniamo anche consulenze per ogni fase della lavorazione, e realizziamo progetti personalizzati anche per conto terzi».

Qual è il processo che ci porta a realizzare un gioiello?

«In primis si deve sapere qual è l’obiettivo, che cosa si vuole realizzare e perché, che mercato si vuole soddisfare e in che fascia di prezzo attestarsi. Poi passiamo alle fasi concrete. Si può partire da un progetto su carta che si passa al modellista, il quale crea il modello in cera a mano, o attraverso dei software e una stampa 3D. Seguono le fusioni e le rifiniture. Una volta terminati questi passaggi, si possono apportare ancora modifiche, colorazioni, e immaginare varianti di prodotto».

Si commissiona un gioiello per regalare qualcosa che resta nel tempo, in occasioni importanti. È una bella responsabilità…

«Il rapporto con le emozioni personali della clientela è profondo. Amo instaurare relazioni di grande vicinanza e comunicazione, soprattutto nel caso di oggetti personalizzati. Mi sento un privilegiato perché, grazie al mio lavoro, sono testimone dei momenti più felici e salienti della vita di tante persone».

Qual è il valore aggiunto di un prodotto artigianale Pierobì?

«Per prima cosa, ciò che vogliamo comunicare con i nostri due marchi di proprietà di riferimento. Sono linee con caratteristiche ben definite, insite nel loro DNA. Nel caso dell’uomo, è palese il richiamo ad alcuni momenti storici, ai valori dell’umanità. Nelle collezioni donna, è forte il riferimento agli elementi naturali. Oltre a questo, realizziamo personalizzazioni, fornendo un carattere estremamente distintivo al gioiello».

Progetti per il futuro?

«Innanzitutto “verticali”, partendo dal potenziamento della rete commerciale e distributiva che ci consentirà maggiori investimenti e rafforzamenti nel lato produttivo, aumentando le risorse dello staff interno e accrescendo le relazioni con i fornitori esterni. Inoltre c’è la voglia di riprendere il valore fondante dell’azienda, quel “laboratorio-scuola” del ’76, al fine di intraprendere una formazione professionale di qualità per nuove leve da avviare a questo bellissimo lavoro».

Perché ti definisci un “guerriero” dell’artigianato made in Italy?

«Perché a prescindere dal settore di appartenenza, è un valore da difendere. Siamo conosciuti e ben pagati in tutto il mondo per la nostra abilità, ma il know-how, le skill, vanno tutelate ed alimentate: un giovane deve vedere nel manifatturiero, in particolare nell'artigianato, una valida forma di gratificazione, anche economica. Affinché  ciò avvenga, occorre mettere in moto un’economia circolare a partire dai consumi dei mercato interno, che veda coinvolti consumatori e commercianti: meglio comprare un oggetto in meno ma che sia italiano. E tutto questo, con i tanti riflessi positivi che comporta, è un modo di fare del bene al nostro paese, alla nostra popolazione, al nostro territorio».


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