La scommessa di Skapte: fare birra artigianale sulla rupe di un piccolo borgo irpino

Articolo di Rosaria Carifano

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Cairano è un borgo dell’Irpinia d’Oriente che sorge sul versante concavo di una rupe dalla forma molto caratteristica. Da lontano, sembra un’onda verde pronta ad infrangersi contro le nuvole. Qui è stato girato il film neorealista “La donnaccia”, e qui ha avuto i natali il famoso regista teatrale Franco Dragone, per anni direttore artistico del Cirque du Soleil.

Ma tutta la poesia paesaggistica e gli onori del passato non bastano a garantire un futuro roseo in un borgo isolato, che sorge in una terra che ancora non garantisce i servizi essenziali, figuriamoci quelli per la valorizzazione del tanto proclamato turismo slow. Negli anni il paese si è svuotato, perdendo concittadini emigrati per motivi di studio e lavoro, e oggi conta appena 274 residenti (il che vuol dire che gli effettivi abitanti sono ancora di meno). 

Ad invertire la tendenza, investendo in un’impresa di qualità, ci hanno pensato Francescantonio Colicchio e Francesco Cataldo, rispettivamente mastro birraio e responsabile commerciale e logistica del microbirrificio artigianale Skapte

Meno di 20.000 ettolitri di prodotto all’anno, indipendenza dai grandi marchi e nessuna pastorizzazione o microfiltrazione della birra ne garantiscono l’appartenenza al settore. Nel loro laboratorio – che è anche punto vendita e degustazione, con splendida vista sul verde – nascono birre eccellenti che sfruttano l’ottima acqua per la quale l’Irpinia è famosa. E si concretizza l’idea che si può restare anche in un contesto difficile, se si hanno idee chiare e competenza. 

Orologio con birre di Skapte

Skapte è una bella storia che, come tante, prende forma in un garage

«Sì, come le migliori imprese della Silicon Valley! (ridono, ndr) L’idea di farci la birra da soli è nata nel 2009, quando eravamo ancora due studenti universitari a Napoli, dove frequentavamo alcune birrerie artigianali. Quando rientravamo in Irpinia c’erano pochissimi locali dove consumare quel tipo di prodotto, e così Francescantonio ha iniziato a farla in casa, in garage, costruendosi tutte le apparecchiature necessarie in maniera molto rudimentale. 

Oggi in rete si trovano siti specializzati per l’homebrewing, ma tredici anni fa si cominciava guardando tutorial e leggendo trattati scritti soprattutto da americani, e internet forniva informazioni molto scarse solo attraverso blog e forum dedicati. Fino a quando, nel 2016, è volato a Padova per frequentare un corso professionale, durato circa un anno e mezzo, per diventare mastro birraio. Dopo il diploma e l’esperienza in un birrificio, ci siamo uniti in società e abbiamo deciso di intraprendere la strada dei professionisti, perché ci siamo resi conto che, almeno in una fase iniziale, bastavano un investimento economico piccolo e un impianto non eccessivo, mentre la grande esperienza maturata negli anni sarebbe stata il punto di forza».


È stato difficile fare il salto professionalizzante?

«Non c’è, almeno qui in provincia, un settore avviato di professionisti esperti nelle fasi di progettazione, realizzazione e normative per un’attività così, perciò abbiamo cominciato ad informarci in prima persona. Per puro caso, un mese dopo che abbiamo fondato la società, ci siamo imbattuti in un bando del GAL Irpinia. Abbiamo partecipato e vinto, e così ci è stato fornito un piccolo finanziamento per l’avvio di attività extra-agricole in zone rurali. È stato importante perché ci ha permesso di coprire una serie di spese impreviste dovute dalla pandemia, che ha allungato – purtroppo – i tempi del nostro esordio di ben due anni. Siamo operativi da maggio 2022». 


Con quali materie prime lavorate?

«Innanzitutto c’è l’acqua. Quella irpina è “quasi” perfetta per la birrificazione. Viene trattata leggermente e si aggiungono dei sali minerali a seconda dello stile brassicolo che si andrà a realizzare. 

Poi abbiamo il malto, ovvero il cereale che viene fatto germogliare e poi fatto essiccare. Lo acquistiamo in gran parte in Germania, a Bamberga, perché è il migliore. Poi, sempre in base alla tipologia di prodotto che dobbiamo preparare, ci rivolgiamo a maltifici in Inghilterra e Belgio. È fondamentale avere dei malti di qualità elevata. Stiamo testando anche dei malti italiani, ma la ricetta definitiva non è ancora pronta. 

Lo stesso discorso vale per il luppolo, anche questo reperito in Germania e all’estero in generale (Stati Uniti, Nuova Zelanda, Inghilterra, Repubblica Ceca, ecc.) e il lievito (che prendiamo nel Nord Italia): scegliamo i fornitori che possono darci delle eccellenze. Ma due ingredienti fondamentali sono il tempo e la pazienza». 

Francescantonio Colicchio e Francesco Cataldo di Skapte

Raccontateci dei vostri prodotti

«Prima di aprire abbiamo fatto una ricerca di mercato, per capire quali stili brassicoli potessero inizialmente interessare al target iniziale di riferimento. Siamo partiti con prodotti di tradizione belga, anglosassone e americana, abbastanza classici, per quanto riguarda la linea base. Invece su altri stili Francescantonio interviene con delle speziature particolari che rendono il prodotto unico nel suo genere. 

Per i nomi, ci siamo ispirati al posto dove siamo ubicati, che abbiamo collegato ad affinità e divergenze con i vari stili, perciò ogni birra fa riferimento ad una tipologia, ed ogni nome fa riferimento a Cairano e alla storia dello stile brassicolo che c’è dietro. 

Abbiamo la “Cairano” che è una blanche, poi una english golden ale chiamata “La Rupe”, mentre la double-dry-hopped american pale ale è detta “Scorciacapa”, che deriva dal termine “scorciacapre” che indica il grecale, ovvero il vento freddo del nord-est talmente pungente che è capace di scuoiare le capre. 

Poi ci sono “La Donnaccia”, una saison al bergamotto; la “Sangue Amaro”, una best bitter di ispirazione inglese; la “Cirque du Houblon”, una ddh imperial ipa; e la “Exxx Asilo”, tripel di chiara ispirazione trappista. Infine, abbiamo creato una birra legata al territorio, una italian grape ale chiamata “Ipogea”, fatta con mosto d’aglianico». 


Che cosa significa “Skapte”?

«Ha una doppia accezione. La prima è di origine greca, quella che avevamo pensato in un primo momento per la nostra impresa, e che si riferisce a Skapte Hyle, un toponimo dell’Odissea che riguarda una mitologica miniera d’oro: voleva essere un buon augurio per noi e avevamo immaginato tutta la linea comunicativa e di prodotti ispirata alla mitologia. 

Purtroppo qualcun altro ha avuto la nostra stessa idea mentre eravamo ancora all’opera per inaugurare, e così abbiamo cambiato rotta, scoprendo che “Skapte” è anche una parola scandinava. Un participio passato che possiamo tradurre con “creato”, e così ci siamo ritrovati un nome che sentiamo appartenerci comunque, pur non sapendolo». 


E il vostro logo cosa rappresenta?

«È legato al territorio. Si tratta di un remake del pendaglio antropomorfo del VII secolo A.C., piena età del ferro, ritrovato a Cairano e conservato nel Museo Provinciale di Avellino. Questo paese, insieme ad Oliveto Citra, fa parte dell’omonima Fossakultur. È un borgo “preistorico”».

Linea di birre Skapte

Cosa significa fare birra in una terra dalla forte vocazione per il vino?

«Le due cose non sono in contraddizione, e i due settori possono esaltarsi a vicenda. Questa è una terra di vino non perché c’è stata una forte tradizione in merito e punto, ma anche perché non c’è stata una tradizione brassicola, un’alternativa. Inoltre noi siamo in Alta Irpinia, al confine con Puglia e Basilicata, dove la vocazione del territorio è molto più rivolta alla cerealicoltura che all’enologia, e per questo si sposa meglio con il mondo della birra. 

Noi comunque siamo legati alla storia della nostra terra, vocazione enologica compresa, e l’abbiamo omaggiato con la birra Ipogea – il cui nome è preso dall’antica via delle grotte di Cairano – a base di mosto d’aglianico. L’Italian Grape Ale, lo stile di questa birra, è l’unico italiano riconosciuto a livello mondiale, e prevede proprio l’utilizzo di mosto d’uve, a dimostrazione che c’è completa apertura dal mondo brassicolo a questo settore estremamente caratteristico del nostro paese. E poi è un tipo di prodotto che, strizzando l’occhio al consumatore di vino, può avvicinarlo a quello delle birre».


Perché avete scelto Cairano per aprire la vostra azienda?

«Il borgo più piccolo dell’Irpinia: è stata una scommessa. Certo non è semplice, ma produrre qui o altrove ha gli stessi costi, anzi, forse risparmiamo un po’ e in questo modo sopperiamo a quelli leggermente più alti per il trasporto. Cairano è una cittadina nota per la sua bellezza, per i suoi vicoli, le antiche cantine, gli organi a vento. È un’ottima vetrina per le nostre birre. Noi le diamo visibilità attraverso i prodotti, le etichette, e lei ci restituisce il favore con la sua popolarità soprattutto in provincia. Tutti in Irpinia sanno dov’è e com’è Cairano». 


Dove possiamo trovare le vostre birre?

«Al momento, in alcuni locali selezionati della provincia di Avellino, di fascia medio-alta, oppure sul nostro e-commerce: skapte.it. Altrimenti potete venirci a trovare qui, nel punto vendita di Cairano. Soprattutto in estate diventa una vera e propria tap room, dove facciamo visite guidate al birrificio e degustazioni».

Progetti futuri?

«Aprire una piccola cantina brassicola nella via delle grotte, e fare il nostro personale piccolo luppoleto con varietà cosiddette “da amaro” (perché vanno rispettati i sentori che il territorio fornirebbe). 

Il sogno è, un giorno, utilizzare dei grani antichi coltivati da noi e ingrandire l’azienda al punto da assumere personale». 

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