Dalla Francia a Roma, passando per l’Inghilterra e la Germania: Mathias Menanteau, il liutaio “internazionale”

Articolo di Alessia Matrisciano

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L’atelier di Mathias Menanteau, a pochi passi dalla basilica di Santa Maria Maggiore e dal Teatro dell’Opera di Roma, è un angolo davvero magico: il profumo del legno e il camino acceso si accordano perfettamente con i gesti raffinati e pazienti che lui e il suo aiutante dedicano a violini, viole e violoncelli fabbricati da poco o antichi anche di trecento anni.

Il lavoro del liutaio, che secondo Mathias somiglia un po’ alla scultura e un po’ all’architettura, vive di gesti precisi e di cure attente, specialmente per chi come lui ha scelto di dedicare gran parte della propria attività al restauro e alla messa a punto di strumenti preziosi, destinati più ai concerti che alle semplici esposizioni.

Abbiamo chiesto a Mathias di raccontarci come funziona il suo affascinante mestiere.


Sei un liutaio francese in Italia, ma la tua formazione ha toccato molti altri Paesi. Raccontaci il tuo percorso

Io sono francese, ma ho studiato liuteria in Inghilterra. La mia scelta di fare il liutaio è venuta quasi naturalmente perché, come mio papà, ho sempre amato lavorare con le mani. Da ragazzino suonavo la chitarra classica e il mio primo istinto è stato provare a costruirne una. Avrei già voluto iniziare da adolescente, quando avevo quattordici anni, ma i miei genitori erano contrari: la mia scelta faceva loro paura perché si riferiva a un mondo nuovo che non conoscevano per niente. 

L’unica scuola di liuteria valida in Francia si trovava al confine con la Germania, quasi a mille chilometri da casa; era un liceo, quindi scegliendola avrei intrapreso un percorso professionale già da molto giovane. Su spinta dei miei genitori ho invece dovuto completare il liceo e prendere la maturità, perché in Francia se non hai il diploma non sei nessuno: a quel punto però, preso il titolo, ho detto ai miei che volevo realizzare il mio vero sogno. Ho mandato richieste d’ammissione a quattro scuole di liuteria, tra cui quella di Cremona, che è famosa a livello internazionale per l’eredità dei grandi liutai del Sei e del Settecento come Amati, Stradivari, Guarneri. 

Ho provato anche ad informarmi su una scuola in Germania e su una negli USA, a Salt Lake City, ma quest’ultima era troppo cara. Alla fine ho scelto di studiare alla Newark Violin Making School, vicino Nottingham, in Inghilterra, perché mi ha fatto un’ottima impressione. Lì forse non c’è una grande tradizione ma la scuola è molto quotata a livello internazionale. Mi sono innamorato subito di quell’ambiente, in modo non razionale, come succede ai giovani. Quando sono stato ammesso ho dovuto mettere i miei di fronte al fatto compiuto e non sono più riusciti a dirmi di no. 

Quel percorso è durato quattro anni. Poi ho deciso di approfondire i miei studi a Berlino, una città piena di attività per quanto riguarda la musica classica. Mi sono fermato cinque anni: lì ho avuto il mio primo contratto di lavoro. Ma avevo ancora il pallino di Cremona, la Mecca della liuteria, dovevo andarci almeno una volta nella vita! 

Purtroppo la realtà italiana era ben diversa da quella che immaginavo. Ottenere un contratto era molto difficile, e anche in campo lavorativo era tutto improvvisato. Mi sono fermato poco in Lombardia: per quanto fosse la culla della liuteria, era frustrante vedere tanti liutai bravissimi accanto ai peggiori che sfruttavano semplicemente la popolarità del luogo. A Cremona si è troppo concentrati sulla liuteria e non si pensa più tanto al resto, alla musica… 

Con questo non voglio criticare la scuola di Cremona: il mio aiutante, Nicholas, ha studiato lì e lavora per me da sei anni. Alla fine però la mia città di elezione è stata Roma, dove ho aperto il mio atelier nel 2010.

Che cosa significa fare il liutaio? Quanto è importante la parte pratica e quanto la parte musicale?

Le persone spesso dimenticano che il violino è una vera e propria scultura di legno! 

Io credo che una persona debba abbracciare la liuteria perché ama profondamente sia la lavorazione del legno sia la musica, altrimenti impazzirebbe. 

Noi dobbiamo capire bene il mondo del suono e avere un ottimo orecchio, ma non dimentichiamo che il nostro mestiere è molto manuale e prende in prestito nozioni anche dalla chimica e dalla fisica acustica, oltre che dall’architettura. 

Costruire uno strumento significa trovare i giusti equilibri tra le parti, essenziali per creare un suono pulito. Dico sempre che la liuteria è una via di mezzo tra la scultura e l’architettura.


Qual è la tua specialità? Cosa ti differenzia dagli altri liutai?

Ogni liutaio ha la sua attività di elezione: a Cremona per esempio sono molto orientati al nuovo. Io creo sì strumenti nuovi, ma mi dedico molto anche al restauro e alla messa a punto.

La messa a punto serve a far sì che uno strumento suoni veramente al massimo delle sue possibilità e si fa normalmente prima di un concerto importante. Essa comprende diversi aspetti, tra cui lo spostamento dell’anima, che è un elemento chiave nel corpo dello strumento. È un lavoro che richiede un rapporto molto stretto con il musicista. 

Nella mia bottega, io e Nicholas lavoriamo in parallelo sia alla produzione di strumenti nuovi sia al restauro. Restauriamo anche strumenti molto antichi: al momento stiamo sistemando un violino del ‘700. Per farlo dobbiamo aprire completamente lo strumento, pulire e poi saldare tutte le fratture. Non bisogna spaventarsi di decostruire completamente lo strumento e andare a fondo: solo così, riaprendo anche le fratture più vecchie, la riparazione sarà veramente a regola d’arte.

Quando ripariamo inseriamo in prossimità dei punti di rottura dei morsetti che poi verranno stretti tra loro, facendo sparire quasi completamente la frattura. Dobbiamo essere sicuri che quando chiuderemo lo strumento non ci saranno vibrazioni: una sola frattura incollata male potrebbe dare luogo a un suono non soddisfacente.

I musicisti sono, naturalmente, molto esigenti e noi dobbiamo lavorare al massimo. Abbiamo “in cantiere” diversi strumenti, anche molto antichi e danneggiati: ormai per noi è un lavoro di routine. 

Chi sono i tuoi clienti?

Io lavoro anche con fondazioni ed enti, ma ciò che amo veramente è lavorare per i privati. 

Quando un privato prende in mano uno strumento e ringrazia, so che il suo apprezzamento è veramente sincero e che lo strumento sarà usato, non messo in qualche museo. Il privato è una persona che suona, che usa veramente lo strumento! 

Certo, un altro classico sono le persone che mi portano violini appartenuti magari a un nonno che non c’è più, per conservarli in buone condizioni, ma la maggior parte dei miei clienti sono veri musicisti. 

Il professionista, il musicista, vuole un suono particolare, sa cosa vuole, mentre un ente o una fondazione non sa davvero che cosa sia e come funzioni uno strumento nella pratica.

Quando arriva un nuovo cliente, per prima cosa cerco di capire com’è a livello personale e che cosa vuole davvero. In caso contrario rischierei probabilmente di prendere una strada sbagliata: la parte psicologica del lavoro è molto importante. 


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