All’interno del piccolo laboratorio tessile La Tela, oggi Museo della Tessitura, arte e tradizione si intrecciano in manufatti dal valore inestimabile. La bottega, situata ad Appignano, in provincia di Macerata, è nata quarant’anni fa dall’idea di Maria Giovanna Varagona e della sua collega Patrizia Ginesi.
Nel tempo, è riuscita a raggiungere notevoli traguardi, tra questi l’attenzione di marchi riconosciuti a livello internazionale. Valentino, Alexander McQueen e Alberta Ferretti sono solo alcuni dei grandi nomi della moda ad aver colto l’unicità di questa realtà tanto discreta quanto preziosa.
La Tela ha inoltre collaborato per 8 anni con il Monastero Benedettino di S. Cecilia a Roma, realizzando la stoffa per la confezione del Pallio, una fascia liturgica che il Papa consegna ogni anno, il 29 giugno, agli Arcivescovi metropoliti eletti.
Sono state importanti anche le collaborazioni con il mondo del cinema, come quella per il film “Il giovane favoloso” di Matteo Martone. Maria Giovanna si è occupata dell’arredo del set della stanza di Silvia.
Tra i progetti più recenti è da citare la costruzione del telaio e l’assistenza all’attrice Juliette Binoche sul set del film “Itaca il ritorno” riguardo all’utilizzo dello strumento.
Quando
e come è nata l’idea di fondare il laboratorio La Tela?
“Prima dei miei 23 anni non conoscevo nulla sulla tessitura; credo non avessi neanche mai visto un telaio da vicino. Ho conseguito una formazione come assistente sociale, ma la mia carriera professionale ha preso una piega inaspettata.
Nel 1985, durante un corso formativo sulla tessitura promosso da una cooperativa per il recupero di ragazzi tossicodipendenti, ho incontrato Patrizia Ginesi, oggi amica e collega. Con lei, l’anno dopo, ho deciso di aprire un laboratorio artigianale, La Tela. La mia missione è sempre stata quella di ricollegare il fare, la creazione del prodotto, a una dimensione umana. Ed è quella che la collettività ha bisogno di ritrovare.”
Oltre a essere una bottega, La Tela propone anche un percorso museale. Potrebbe parlarci di questo progetto?
“L’area espositiva, che prende il nome di “Dalla fibra al filo”, ha un duplice obiettivo. Da un lato, mostrare in maniera tecnica e tecnologica il processo di trasformazione della fibra. Dall’altro, comunicare al visitatore il senso più profondo dell’arte della tessitura.
A ogni parola riferita agli strumenti utilizzati in questo lavoro, infatti, si legano significati metaforici relativi alla crescita dell’individuo e alle relazioni umane.”
La
tecnica dei liccetti è la vostra firma distintiva. Ci può parlare di questa
lavorazione?

“La tessitura a liccetti è il primo sistema di programmazione applicato a una macchina, il telaio, ed è totalmente manuale. In generale, la nostra attività non ha nulla di meccanico: come artigiane non utilizziamo energia elettrica, ma unicamente le nostre mani.
Le origini della tecnica a liccetti, in particolare, risalgono al 1200. A testimoniarlo sono opere pittoriche e affreschi di artisti come Giotto e Leonardo da Vinci. Vengono riproposti motivi decorativi sul campo più stretto del tessuto, che possono essere ripetuti senza fine.
I decori tradizionali sono di carattere naturalistico, come fiori e alberi, ma vengono raffigurati anche pavoni, draghi, leoni, cervi e castelli. Si tratta di motivi medievali tipici della cultura orientale, rilevati poi da quella cristiana, che ne ha dato simbolismi propri.
All’epoca questa lavorazione era affidata alla manovalanza ebraica che operava per conto delle corporazioni di tessitori. Infatti, la zona di maggiore interesse per la tecnica a liccetti era Camerino, città con un insediamento ebraico importante e allora sotto il controllo della Chiesa.
Ne consegue che la documentazione tessile appartiene sia all’Umbria che alle Marche. Mentre la prima, però, ha successivamente meccanizzato la programmazione attraverso la tessitura Jacquard, la lavorazione secondo il metodo antico è rimasta viva nell’entroterra maceratese.”
Qual è
il lato più difficile e quello più gratificante di questo mestiere e cosa
significa per lei portare avanti la tradizione?
“Il mio lavoro è bellissimo, ma ci sono anche dei lati negativi, ossia la gestione burocratica. La parte che più amo, invece, è sicuramente quella formativa. Insegnando sono a contatto con le persone e ho modo di trasmettere non solo il mio sapere tecnico sulla creazione di tessuti semplici o di complessità superiore, ma anche valori più profondi.
Trasformando il prodotto lavoriamo sulla bellezza. Sono i dettagli a fare la differenza, insieme all’equilibrio tra ciò che può in un primo momento risultare insignificante ai nostri occhi e quello che invece attira l’attenzione fin da subito. Senza una parte brutta, il bello non potrebbe essere così evidente.”
Quali erano i suoi sogni e aspettative all'inizio del suo percorso lavorativo e quali sono i suoi obiettivi per il futuro?
“Sognavo di fare una cosa di cui ero appassionata e le mie aspettative si sono realizzate. Inoltre, sono felice di aver unito a questo mestiere un aspetto pedagogico, che si collega alla mia formazione nel sociale.”

Se da un lato i successi raggiunti hanno proiettato La Tela oltre i confini del laboratorio, dall’altro è proprio all’interno del Museo della Tessitura che si ritrova l’anima autentica di questa realtà Made in Italy.
La presenza di telai antichi, alcuni risalenti al Settecento, trasporta immediatamente in un luogo senza tempo. Su di essi sono adagiati con cura corpetti, abiti o tovagliati decorati con motivi medievali. La Tela unisce in modo indissolubile passato e presente, preservando però un’arte che ha resistito alla meccanizzazione moderna. A dettare le tempistiche di realizzazione dei prodotti non è la velocità di una macchina, ma il sapere delle mani che lavorano al telaio. Il laboratorio diventa così custode di una parte fondamentale del patrimonio artigianale del nostro Paese.
Per la signora Maria Giovanna, però, La Tela è molto di più. Rappresenta un’opportunità per raccontare, un punto di partenza per far comprendere che la tessitura e la vita stessa hanno molto in comune.
Basti pensare a termini tipici di questo lavoro, come pensum, dal verbo latino pendo, che significa pesare, giudicare o valutare. Pensum viene attribuito al sacco pieno di lana, poiché in passato indicava la quantità di lana pesata che le donne dovevano filare ogni giorno. Un compito da portare a termine e, al contempo, un peso da cui liberarsi.
È da qui che trae origine la parola pensiero. Ogni individuo ha per natura la capacità di discernimento e coltiva quotidianamente la sua abilità di scegliere ciò che è giusto o sbagliato, per sé e per gli altri. Il pensiero critico richiede energie, esperienza, comprensione e umanità. Attraverso la tessitura e la consapevolezza di ciò che si cela dietro il processo di trasformazione della fibra possiamo entrare in contatto con il nostro essere. E in questo modo, ritrovarci.