Oltre 97.000 presenze e +7% di operatori esteri presenti.
Sono questi i numeri della 57esima edizione del Vinitaly, che confermano la centralità dell’evento per il settore vitivinicolo.
Una occasione per conoscere le novità di questo mondo e per confrontarsi, tra produttori e consumatori, rispetto alle sfide globali fatte di dazi e cambiamento climatico. Ma non solo.
Perché il Vinitaly 2025, in scena al Veronafiere dal 6 al 9 aprile, ha posto un po’ più in là i propri orizzonti.
Oltre 4.000 aziende espositrici, 18 padiglioni pieni e 1.200 top buyer provenienti da 71 paesi: il Salone internazionale dei vini e dei distillati si conferma ancora una volta il cuore pulsante del Made in Italy enologico.
Sotto i riflettori, accanto alle eccellenze produttive provenienti da tutte le regioni italiane e dalle più svariate parti del mondo, si fa spazio anche un sentimento diffuso di inquietudine: tra dazi americani, crisi dei consumi, contrazione del mercato e scenari geopolitici incerti.
Il tema scelto da Veronafiere per quest’anno – “Promozione, internazionalizzazione e cambiamento” – rispecchia appieno il momento di transizione che sta vivendo il comparto.
“Abbiamo rafforzato la promozione con il supporto di ministeri, ambasciate e ICE per sostenere la competitività delle imprese in uno scenario complesso e mutevole,” ha dichiarato il presidente di Veronafiere, Federico Bricolo
Il nuovo posizionamento di Vinitaly come aggregatore naturale del vino italiano nei mercati chiave viene rafforzato anche dal nuovo progetto Vinitaly Tourism, dedicato all’enoturismo, e da format innovativi come Amphora Revolution, RAW Wine e l’area dedicata ai No & Low alcohol, segno di un’industria che ascolta le tendenze emergenti e cerca nuove vie di crescita.
Perché il mercato del vino dealcolato sta prendendo sempre più piede, soprattutto tra i giovani. Si parte da alcune certezze: non beviamo più vino come in passato. O meglio, diminuisce il numero di persone che lo consumano. Chi prima beveva, ora ne ha aumentato il quantitativo personale, ma in percentuale diminuisce il numero complessivo di bevitori.
A raccontarlo è l’Istat nel suo ultimo report diffuso sul settore. C'entrano il costo, il surriscaldamento climatico e il modo nel quale evolve anche la socialità. “E poi ci sono gli studi che dimostrano come i Millennials e gli appartenenti alla Gen Z preferiscano i super alcolici a un buon bicchiere di vino”, racconta Assovini, l’associazione di vitivinicoltori siciliani che riunisce 100 aziende vitivinicole con l’obiettivo di promuovere il vino siciliano di qualità nel mondo.
Dagli anni '70 a oggi, la quantità pro capite di vino bevuto si è più che dimezzata. E con il surriscaldamento climatico, i rischi si riverberano tutti sulla filiera. Non a caso proprio la Sicilia – una delle regioni maggiormente colpite dal climate change - ha di recente stanziato fondi in sostegno di questo comparto d’eccellenza. Ma non è l’unica.
Il vino, che un tempo era considerato un alimento imprescindibile sulle tavole degli italiani, ha oggi raggiunto una percezione legata più a un piacere edonistico, a tratti intellettuale. E i giovani continuano a preferirgli i super alcolici o seguire le mode del momento rappresentate dal No & Low alcohol.
Tra le regioni protagoniste al Vinitaly 2025, la Sicilia è stata nominata Regione Europea della Gastronomia 2025, titolo conferito dall’Istituto Internazionale di Gastronomia, Cultura, Arti e Turismo (IGCAT).
“Essere Regione Europea della Gastronomia è una straordinaria opportunità per rafforzare il legame tra vino, cultura e identità,” ha spiegato l’assessore all’Agricoltura Salvatore Barbagallo proprio al Vinitaly.
Il vino, in questo contesto, diventa ambasciatore di una nuova narrazione dell’isola. “Il nostro obiettivo – ha aggiunto Fulvio Bellomo, Direttore del Dipartimento Agricoltura – è rafforzare le filiere produttive e promuovere una comunicazione autentica della Sicilia, puntando sulla qualità e sulla sostenibilità.” Dello stesso avviso Mariangela Cambria, presidente di Assovini Sicilia, che ha parlato del vino come “volano economico e culturale dell’intera isola”.
Eppure, dietro l’entusiasmo, si avverte chiaramente un rumore di fondo derivante da preoccupazioni e instabilità. Al centro del dibattito, l’introduzione dei dazi americani del 20% sui vini italiani, che secondo il Rapporto Enpaia-Censis 2025 rischiano di espellere circa 54 milioni di bottiglie dal mercato USA. Troppo presto parlarne: Trump ha già fatto marcia indietro. Ancora da comprendere se si tratterà di un trend su lungo periodo o delle ennesime speculazioni messe in atto dal Tycoon.
Una perdita che i produttori italiani tenteranno eventualmente di compensare mirando a mercati alternativi come Germania e Regno Unito, ma che si scontra con differenze significative nei prezzi di vendita e nelle capacità di assorbimento della domanda. “Per colmare il gap – si legge nel report – servirebbe vendere almeno 92 milioni di bottiglie nei mercati europei: un’impresa titanica.”
Non solo: circa il 20% del valore dell’export, pari a 1,9 miliardi di euro, finirà direttamente nelle casse dello Stato americano se i dazi dovessero permanere. Anche qui: confusione e paure motivate di chi fa impresa.
Non solo paure. Sono stati cinque i trend principali emersi con chiarezza tra i padiglioni veronesi: il crescente interesse per i vini dealcolati, l’ascesa del biologico, la resilienza dei grandi rossi ad alta gradazione, il ritorno di fiamma per il Lambrusco, oltre all’ombra lunga dei dazi.
A guidare il cambiamento è anche l’Osservatorio Uiv-Vinitaly, che quest’anno ha puntato i riflettori sui giovani consumatori under 44 in Italia e negli Stati Uniti, evidenziando come le nuove generazioni cerchino autenticità, trasparenza e responsabilità ambientale nei prodotti che scelgono. Un monito per i produttori Made in Italy, che continuano a investire in certificazioni, packaging sostenibile e storytelling.
Vinitaly 2025 è il ritratto di un settore che, messo alla prova da sfide strutturali, non smette di innovare, raccontarsi e crescere. Tra bollicine con prezzi da capogiro, rossi corposi e tra un sorso di Nero d’Avola e un calice di Lambrusco, si fa strada una consapevolezza nuova: la qualità non basta più. Serve visione, serve sistema, servono strumenti adeguati per sostenere le imprese e difendere la posizione di chi esporta il Made in Italy nel mondo. Una avvertenza che il Governo italiano non potrà trascurare.
E la Sicilia, con la sua nomina a Regione Europea della Gastronomia, si propone come metafora perfetta di questo cambiamento in atto: una terra che sceglie di guardare al futuro pur radicata nelle sue tradizioni. Perseguendo il binomio tradizione – innovazione.