Elena Pelosi: la poesia della materia, tra arte, design e sostenibilità

Articolo di Valentina Sole

Da sempre mi sento legata profondamente alla materia, ai minerali, alle pietre e alla terra. Un legame atavico che mi richiama alle mie radici.

Addirittura amici e parenti conoscono bene qual è il miglior souvenir da portarmi da un viaggio: un sasso oppure una pietra da una forma particolare, da aggiungere alla mia collezione personale.

Stefano Raffa, artigiano che ho avuto il piacere di intervistare lo scorso inverno, mi ha permesso di conoscere una designer che, come me, ama il meraviglioso mondo della terra.

L’ho raggiunta, presso le fornaci Curti, a Milano e abbiamo trascorso qualche ora parlando del suo talento e del suo grande estro creativo, nonché del rapporto che ha con la materia, che nelle sue mani prende vita e racconta storie dal profumo antico.

Entriamo insieme nel mondo di Elena Pelosi, specializzata in progetti su misura personalizzati, che spaziano dall’interior e product design alla direzione creativa, styling e comunicazione. 

Ciao Elena, ci vuoi parlare un po’ di te e di come sei arrivata a creare il tuo studio?

Sono Elena Pelosi, veneta di nascita e milanese d’adozione, una designer eclettica con tendenze artistiche perché, rispetto al design tradizionale di prodotto, amo spostare il focus sul materiale con cui lavoro ispirandomi a elementi e materiali naturali.

Ho lavorato per diversi anni come direttore creativo presso lo studio di architettura internazionale Matteo Thun & Partners, con sedi a Milano, Shanghai e Monaco di Baviera.

Il mio percorso mi ha portato a diversi approcci: da quello iniziale legato agli studi artistici (storia dell’arte, conservazione dei beni culturali) fino a corsi di restauro del vetro, di fotografia e agli studi di architettura e grafica. 

Lo studio in cui lavoravo ha ricoperto un ruolo fondamentale per la mia formazione professionale consentendomi di crescere professionalmente oltre a permettermi di interagire con persone di nazionalità diverse, in un ambiente certamente stimolante e cosmopolita.

Tuttavia arrivata a un punto specifico della mia carriera ho sentito il bisogno di esprimere le mie idee, le mie creazioni artistiche che, in uno studio strutturato, ovviamente non potevo nutrire. 

Ho pensato di raccogliere il mio variopinto bagaglio e prendere una direzione diversa, verso qualcosa che fosse mio, totalmente mio, e che mi permettesse di sviluppare le mie idee piuttosto di quelle di un altro professionista. 

È nato così il mio studio, il mio laboratorio artistico, che si trova all’interno di questa splendida fornace, ancora attiva e che trae le sue origini nel 1400, periodo in cui vantava la produzione di mattoni per gli Sforza. 

Questo posto per me è magico, perché da sempre mi fa sentire viva e libera di esprimermi, coccolando il mio estro creativo, motivo per cui ho scelto di aprire il mio studio proprio qui. 

Ci vuoi spiegare qual è il tuo approccio alla direzione creativa e alla ricerca dei materiali?

Io mi occupo della direzione creativa di diversi brand nel contesto di progetti spaziali, ma certamente ciò che più mi appassiona e che porto avanti con costanza, determinazione e perseveranza è la ricerca dei materiali.

Per me è fondamentale la perfetta sinergia tra ricerca continua e sperimentazione nella realizzazione di opere artistiche e di design oppure all’interno dei miei progetti “più commerciali”.

In questo modo posso sviluppare la mia attività attraverso le cose che maggiormente mi appassionano, traendo ispirazione dalla natura.

Ho iniziato a raccogliere elementi naturali da bambina: fossili, pietre, pietra lavica, sabbie, pigmenti, frammenti di metalli e una serie di materiali che successivamente ho integrato nei miei lavori, oppure a cui mi ispiro per le mie ricerche. 

Realizzo oggetti veri e propri, quindi con una determinata funzionalità, oppure delle espressioni artistiche attraverso le quali desidero comunicare un messaggio specifico.

Ecco come mi esprimo, attraverso il collectible design, ossia pezzi unici e irripetibili che si collocano a metà strada tra arte e design.

Da dove trai ispirazione?

Cerco ispirazione nelle tecniche tradizionali e nelle mie ricerche, durante i miei viaggi. 

Questo perché voglio inserire una cultura globale all’interno delle mie creazioni e dello stesso studio.

Anche i miei collaboratori vengono da molteplici parti del mondo, perché ritengo che una solida idea cosmopolita aiuti ad aprire la mente e favorisca una visione eclettica delle cose.

I materiali con cui lavoro sono quasi sempre legati a terra e suolo, fattore che riconduco alle mie origini siciliane, alle mie radici connesse con il vulcano e, naturalmente, con la trasformazione.

Ho una vera passione per la memoria e la storia che risiede nella materia, tema che mi ha portato a fare numerose ricerche e altrettante opere, artistiche e di design.

Un esempio? La sedia che ho in studio, progettata ed eseguita per una biennale di design e arte, Pinetum, in Toscana.

L’ispirazione viene direttamente dagli etruschi, il nome della collezione è MARU, e include una serie di lounge chairs in cotto dell’Impruneta, un pregiato materiale in terracotta prodotto in Toscana, noto per la sua resistenza e il colore caldo.

La collezione propone piccoli salottini concepiti per rilassarsi anche all’aperto, nella natura, sedersi e godere del cielo stellato o, semplicemente, dialogare con alberi e piante.

Per esempio, un dialogo simbolico, davanti a un albero, seduti alla sua stessa altezza, abbattendo ogni differenza, rappresenta sicuramente un gesto di rispetto e connessione autentica con la natura.

Ci piacerebbe capire meglio come la tua visione prende forma nei tuoi lavori

opera Elena pelosi


Diversi progetti sono legati all’idea di dover restituire qualcosa alla natura, in particolare quello realizzato in Lazio che mi ha vista utilizzare la terra e farne argilla per realizzare delle ciotole.

La tecnica impiegata è giapponese e consiste nello scavare all’interno della materia per trovarne la forma. Più precisamente parliamo di kurinuki, ovvero scolpire la forma desiderata, partendo da un blocco di argilla. 

La parola "kurinuki" significa letteralmente "svuotare" o "scavare". 

A differenza di altri metodi che consentono di costruire una forma partendo da una base, il kurinuki inizia con una massa compatta da cui si rimuove materiale per rivelare la forma finale.

Una volta ottenute e asciugate, le ciotole sono state rimesse all’interno del terreno, coperte e cotte restituendo simbolicamente alla terra ciò che le era stato sottratto.

Si tratta di un messaggio, molto importante e veicolato attraverso la semplicità di un oggetto che si può vedere, toccare e comprendere. 

Raccontaci come la tua ricerca artigianale si trasforma in progetti di respiro internazionale

Un progetto che mi ha coinvolto molto e su cui tuttora sto svolgendo studi e ricerche, tratta il marmo artigianale.

Un materiale creativo derivante da terre naturali, senza aggiunta di colori o pigmenti, ma usando ciò che in natura esiste già.

Attraverso antiche tecniche, che ritroviamo per esempio in Francia e Giappone, è possibile miscelare la terra e creare un effetto marmo, elegante e assai creativo. 

Un progetto declinato in collectible design, vasi specchio oppure ricavati da schegge di materiale riciclato, scelto, per esempio, da Bulgari, brand internazionale e noto anche oltreoceano, per creare degli sfondi per i suoi gioielli. 

La sua campagna si è allineata perfettamente alla mia ricerca artistica per un risultato incredibile: un brand importante legato al lusso ha sposato un progetto con anima artigiana e coerente con il concetto di sostenibilità.

Questo perché ho un forte animo green: impiego unicamente materiale che viene dalla natura, scaldato e cotto con forni a risparmio energetico e materiali provenienti dagli scarti di altre lavorazioni. 

Mi hai detto che interpreti il passare del tempo, raccontaci come

Attrezzi artiginali

Un altro progetto a cui sono affezionata tratta una riflessione sull’invecchiamento e sull’inesorabile trascorrere del tempo.

Un tema che caratterizza molte mie opere, che raccontano il tempo che scorre, la fluidità, la memoria.

Mi piaceva legare questo concetto a un materiale come la ceramica, che di solito non lo evoca. Infatti per sua stessa natura non invecchia mai, ma può unicamente produrre una patina, facilmente removibile attraverso una pulizia superficiale.

Per questo i più antichi reperti sono proprio in terracotta, tramandati da storie e tradizioni di tutto il mondo.

Ma il progetto di cui voglio parlare ora, ha visto l’introduzione di un elemento che attribuisce un’età alla ceramica, che non viene calcolata attraverso un'analisi chimica, ma ben visibile a livello estetico.

Vediamo quindi delle opere fatte in diversi momenti, tra le quali intercorre un lasso di tempo da sei mesi fino a due anni, sviluppati con gli stessi elementi ma che mostrano chiaramente il processo di invecchiamento del materiale.

I più recenti sono infatti di colore più scuro, mentre i più vecchi progressivamente diventano grigi. 

La ceramica ha così un’evoluzione nella sua pelle e nella sua tattilità, che ci mostra il passare degli anni, parlandoci di trasformazione, di tempo vissuto e di memoria impressa nella materia.

Raccontaci come affronti il tema dell’identità urbana nei tuoi lavori

Tra le mie collezioni preferite voglio citare Urban Seeds, che parla di resilienza e rigenerazione urbana, sviluppata attraverso l’impiego dei vari scarti dei cantieri in cui ho lavorato, a Milano. 

Si tratta di una serie di vasi e di contenitori che simboleggiano semi urbani incarnando la storia del passato in un’ottica di crescita ed evoluzione.

Un messaggio che vuole valorizzare la storia e la tradizione, l’autenticità e le caratteristiche dei luoghi in cui viviamo.

Concetti che si collegano direttamente alla parte architettonica della mia attività, legati alla sostenibilità, una parola talmente abusata che spesso fatico a usare, ma che tuttavia caratterizza tutto ciò che realizzo, anche nelle installazioni e nelle opere temporanee. 

Come affronti il tema della sostenibilità nei tuoi progetti?

Quando si tratta di installazioni temporanee è importantissimo essere virtuosi, perché questo tipo di lavorazioni richiede il consumo di energia e produce, di conseguenza, inquinamento. 

Ciò non è certamente in linea con i valori della filosofia progettuale del mio studio.

Non potrei mai sviluppare installazioni che vengono consumate nel giro di pochi giorni, sprecando tanta energia. 

Cerco infatti di produrre sempre qualcosa che possa durare nel tempo, caratteristica che riflette una grande forma di sostenibilità.

A tal proposito da diverso tempo collaboro con l’Oasi Zegna - un’ area naturalistica nelle Alpi Biellesi, progetto di conservazione, turismo sostenibile e valorizzazione del territorio - con cui, attraverso il calcolo e la rendicontazione delle ore, dei sopralluoghi, dei mezzi impiegati, dei materiali scartati calcoliamo il carbon footprint prodotto dall’installazione.

Di cosa si tratta? Indica la quantità di emissioni di gas serra generate da un prodotto, da un servizio, un’attività o un’organizzazione, la cui riduzione determina un miglioramento dell’efficienza energetica, delle risorse ed un notevole risparmio economico.

Sulla base di questi calcoli, sono stati piantati degli alberi, presso l’Oasi Zegna che, nel corso della loro vita, ricompenseranno la natura per quello che noi abbiamo sprecato.

Vorrei concludere ricordando la lezione più preziosa che ho tratto da Italo Calvino: cercare sempre una coerenza progettuale che renda il messaggio autentico e unico, capace di raccontare leggerezza e molteplicità senza complicare inutilmente le cose. 

Perché, in fondo, la bellezza è negli occhi di tutti.


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Elena Pelosi: la poesia della materia, tra arte, design e sostenibilità
Valentina Sole 27 agosto 2025


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