Tra legno, mani e cuore: nella bottega di Pipa Castello, dove le pipe diventano opere d’arte

Articolo di Valentina Sole

C’è un’immagine che mi accompagna da tutta la vita, quella di mio padre che fuma la sua pipa davanti a una tela appena dipinta, con le sue mani ancora sporche di pittura e la sua barba intrisa del profumo di tabacco.

Una parete della mia casa di infanzia ospitava decine di pipe, di ogni forma, collezionate da papà e accudite con amore, un amore che mi ha trasmesso e che, ogni volta che vedo questo piccolo oggetto, mi rimanda a momenti felici, in famiglia.

Tra le pipe collezionate da papà ho trovato un nome, Pipa Castello, e ho voluto raggiungere questi maestri dell’artigianato, veri artisti che, attraverso le loro mani esperte, creano pipe, opere d’arte dalle forme uniche, armoniose, che valorizzano con amore il legno da cui vengono ricavate. 

Un sabato mattina di marzo ho raggiunto Franco Coppo, a Cantù, nella sua antica bottega e, affascinata, ho ascoltato i 90 anni di storia di un’azienda che ha fatto di una passione una meravigliosa arte.

Buongiorno Franco, ci racconti le origini di Pipa Castello

Nel 1947, qui a Cantù in via Ginevrino da Fossano 44, nasce Pipa Castello, ma sebbene io non abbia documentazione a riguardo, credo di poter collocare il marchio molto prima, intorno al 1935.

Il primo brevetto di marchio di fabbricazione risale al 1942, a Milano, per opera del fondatore, Carlo Scotti.

Fino ad allora le pipe venivano concepite unicamente come strumento che non bruciasse le dita durante il consumo del tabacco, ma la visione di Carlo Scotti andava ben oltre: il suo desiderio era infatti quello di creare una pipa che fosse un gioiello, un accessorio di lusso dedicato all’uomo e pensato per un pubblico raffinato.

L’obiettivo era di produrre qualcosa che fosse funzionale, perché pur sempre dispositivo da fumo, ma fatto con cura, valorizzandone il lato estetico, che non fosse una “semplice” pipa, ma bensì un oggetto da collezione.

Quest’idea è tutt’ora alla base dell’immagine e della fabbricazione di Pipa Castello, azienda che Scotti avviò con tre artigiani, scegliendo Cantù, all’epoca paese del mobile e dei maestri della lavorazione del legno.

In che modo Carlo Scotti ha definito il design distintivo della Pipa Castello?

Le forme - in inglese shape - che delineano la pipa nascono dalla genialità di Carlo Scotti che, da buon tobacconist, conosceva bene ogni tipologia di design del prodotto, motivo per il quale desiderava allontanarsi completamente da ciò che proponeva il mercato.

Puntava all’innovazione e voleva creare una propria linea, che si distinguesse e che fosse unica, motivo per cui iniziò a studiare e progettare le primissime forme che, progressivamente, si delinearono evolvendosi, creando esemplari iconici e caratterizzati da un’incredibile artigianalità.

La Pipa Castello ha così seguito l’evoluzione naturale del design, attraverso gli anni, adattandosi alle mode e alle tendenze, nei diversi decenni. 

Oggi, suddividiamo le nostre creazioni in piccoli gruppi dai quali ricaviamo i modelli migliori che utilizziamo come campioni per crearne successivamente di simili, anche se, grazie al valore aggiunto dell’artigianalità, non avremo mai una pipa identica all’altra. 

Ci parli del suo ingresso in azienda, negli anni ‘70

Lavorazione pipa


Il 1969 segna il mio ingresso in bottega, incoraggiato da Carlo Scotti che, in quel periodo, aveva dei problemi con la gestione dei dipendenti.

La figura di Scotti, un uomo apparentemente burbero ma dal cuore immenso, mi piacque subito e ciò mi spinse a volerlo aiutare ad affrontare questa situazione delicata.

Ai tempi ero studente di ingegneria, ma l’incontro con Carlo, che in seguito diventò mio suocero, fu tanto folgorante da farmi abbandonare la mia Milano per trasferirmi qui, a Cantù, e dedicare tutta la mia vita alle pipe. 

Un lavoro in cui ogni gesto, anche il più impercettibile colpo di lima, è guidato da una grande creatività che aiuta a dare un’anima alla creazione.

Tutto comincia nel momento in cui l’artigiano entra in sintonia con l’erica, la pianta da cui si ricava il legno: un dialogo silenzioso che prende vita attraverso le mani, gli occhi e il cuore. Sì, il cuore, perché l’artigiano che crea la pipa deve amarla e plasmarla con il suo amore. 

Quali materiali impiegate nella creazione delle pipe?

Il materiale con cui produciamo le nostre pipe viene ricavato dalla macchia mediterranea: l’erica arborea, che nasce lungo le coste del mediterraneo, nota anche come erica scopaia (da cui "scoparia") perché i suoi rami venivano tradizionalmente usati per creare scope.

Una pianta nazionale che ci consente di produrre il cuore della pipa - il fornello - difficile da reperire, perché nasce spontaneamente e non può essere coltivata.

Il suo legno è duro, compatto e resistente al calore, caratteristiche che la rendono ideale, appunto, per pipe e altri oggetti artigianali.

Giunta in bottega, anche dopo circa 3 mesi di attesa, viene lasciata a stagionare qui, per un lungo, lunghissimo periodo. 

Quanto conta la manualità nel processo di creazione di una Pipa Castello?

Lavorazione Pipe


Il concetto di macchinario, qui da noi, non esiste, perché impieghiamo piccoli strumenti che sono da supporto alla mano dell’artigiano.

È la mano che crea, il nostro vero strumento è proprio la mano!

Non voglio peccare di vanità ma oggi, nel settore, credo siamo gli unici a produrre ancora manualmente ogni singola pipa.

Il nostro è un lavoro assai faticoso che si fonda su manualità e intelligenza: gli artigiani pensano e creano lavorando soprattutto con la testa, con il cuore e con gli occhi.

Sono loro la vera macchina dell’azienda che opera nell’attimo esatto che unisce la mano dell’uomo, l’occhio e il prodotto finito.

La lavorazione della pipa, come anticipato, nasce da un procedimento completamente manuale: il ciocco di erica, precedentemente fatto stagionare per oltre 8 anni, viene portato su un trapano verticale per il primo foro, che sarà il vaso della pipa, insieme agli altri fori per il bocchino e per il tiraggio.

Segue la lavorazione dell’interno del vaso della pipa e relativi procedimenti di squadratura e, infine, la modellazione secondo la forma ottenuta a cui viene aggiunto il bocchino, anch’esso lavorato a mano.

Un procedimento molto lungo che prevede, per una sola pipa oltre 120 singole operazioni che vanno seguite meticolosamente!

È importante capire il lavoro di squadra che c’è alla base di ogni progetto, l’orgoglio che muove ogni lavorazione e il senso di appartenenza alla nostra azienda, che per noi è come una grande famiglia. 

Oggi cosa rappresenta una pipa Castello per chi la acquista?


Pipe artigianali

Una pipa Castello, oggi, è a tutti gli effetti un oggetto da collezione, per la sua bellezza, per la struttura del legno, per la raffinatezza del bocchino.

Un oggetto d’arte ricco di fascino, che accompagna l’uomo nella sua quotidianità.

Alcuni collezionisti possiedono oltre 1000 pezzi, che vengono valorizzati attraverso mostre di settore, che vedono anche scambi di pipe tra privati. 

I pezzi vengono conservati con grande cura al punto da sembrare sempre vivi e perfetti, anche dopo 40 anni dall’acquisto, a prova dell’incredibile resistenza della singola pipa.

Ci parli di "Le pipe, mie figlie"

"Le Pipe, mie figlie" è il mio libro, nel quale ho raccolto alcune storie di Castello attraverso le sue pipe più iconiche, che negli anni ne hanno caratterizzato il brand.

La raccolta si ferma agli anni ’70 per motivi di tempo, ma il mio desiderio è quello di procedere con una nuova pubblicazione, dedicata ai collezionisti che hanno bisogno di saper decifrare la propria pipa, nel momento storico in cui è stata concepita.

Molti collezionisti seguono una forma specifica di design che consente loro di collezionare migliaia di pezzi unici. 

Conoscere la storia della shape del proprio modello preferito è come conoscere l’anima di ogni pipa, coglierne l’essenza e scoprire il pensiero che l’ha ispirata, comprendendone l’evoluzione nel tempo per apprezzarne ancora di più l’unicità.

Purtroppo qualche settimana dopo l’intervista il signor Coppo ci ha lasciati, improvvisamente.

Sua figlia Stefy, determinata a proseguire il grande operato di padre e nonno, ha già assunto il controllo dell’azienda, dimostrando una forza incredibile. 

Ecco le parole di Stefy nel corso di una piacevole conversazione telefonica

Io rappresento la continuità di mio padre, ma anche di mio nonno Carlo Scotti, racchiudendo l’essenza di Pipa Castello e della sua bottega storica.

Godo del supporto prezioso di un team di artigiani, coeso, capace e volenteroso, istruito dal sapere di mio padre, che ha insegnato loro un mestiere antico, un’artigianalità tradizionale. 

Con questi presupposti, il mio desiderio è quello di proseguire il sogno di mio nonno e di papà, conservandone le radici e l’autenticità.

Non voglio stravolgere Pipa Castello perché credo nel lavoro svolto fino a oggi e nelle linee proposte.

Ma soprattutto credo nei nostri artigiani che rappresentano l’identità stessa del brand, la macchina umana che, da quasi 80 anni funge da motore.

Non modificherò design e shape, cercherò di valorizzare sempre di più i nostri artigiani, portando innovazione nella gestione dell’azienda. 

Conserverò sempre il ricordo di quella piacevole mattina trascorsa con Franco Coppo, tra le sue pipe, nella sua azienda, nel suo mondo.

Sulla mia libreria c’è il suo libro, prezioso regalo di un uomo di altri tempi, un imprenditore con l’animo da artigiano, gentile e colto, innamorato del suo lavoro.

Un professionista che ha saputo valorizzare i suoi collaboratori, i suoi artisti – come li chiamava affettuosamente e con grande stima - permettendo loro di esprimere, sempre, estro e creatività.

Sono sicura che Stefy, una donna forte, sensibile e coraggiosa, renderà onore a questo lascito carico di amore, portando avanti la sua azienda e raggiungendo ogni obiettivo prefissato. 

Condividi l'articolo e seguici sui nostri social!



Tra legno, mani e cuore: nella bottega di Pipa Castello, dove le pipe diventano opere d’arte
Valentina Sole 9 giugno 2025
Condividi articolo
Etichette
Archivio
Tenuta Tovaglieri: la viticoltura rinasce sulle colline varesine
Articolo di Valentina Sole