Quando la sostenibilità e il riuso si sposano perfettamente: il progetto di Double Trouble Bologna

Articolo di Stefano Cattani

Il progetto di Double Trouble Bologna nasce nel 2014, dalla creatività delle gemelle Margherita e Caterina Libouri, appassionate di moda, artigianalità e accessori. Nelle loro creazioni si fondono l’artigianalità italiana e la cultura del Gabon, paese natale del padre delle due sorelle. 

Sostenere una cultura della moda circolare e sostenibile è l’obiettivo delle gemelle, che basano il loro lavoro sul riuso dei materiali. Tutti gli accessori sono creati con pellami di scarto e lavorati artigianalmente.

Oggi abbiamo parlato con Caterina, che ci ha raccontato la loro storia. 


Ciao Caterina, grazie per l’ospitalità nel vostro coloratissimo laboratorio. Vuoi raccontare ai nostri lettori com’è nata la vostra attività?

La nostra attività è nata circa dieci anni fa, nel 2014. Margherita ha frequentato l’Accademia di Belle Arti e stava facendo la tesi sulla pelletteria e il riuso, e ha fatto una piccola sfilata con borse fatte da lei. La collezione è andata bene, in parte è stata venduta e quindi ci è balenata in testa l’idea che si potesse far partire un brand legato a questa prima prova. 


Io nel frattempo mi stavo laureando in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Forlì e poi ho proseguito nel campo della comunicazione e del marketing. Da lì è partita l’idea di lavorare insieme, sfruttando le nostre competenze: lei con la pelletteria, e io la comunicazione. 

Fino all’anno scorso è stato un lavoro part time, era più un hobby per noi. In questa sede siamo arrivate due anni fa, e prima avevamo dei lavori completamente diversi. 


Io sono fotografa, ho lavorato in agenzie e in aziende di marketing. Quindi è davvero da poco che ci dedichiamo totalmente a questo lavoro e da gennaio diventeremo una società famigliare. 


Quali sono le vostre influenze dal punto di vista artistico?

Per comprenderle devo raccontarvi le nostre origini. Noi siamo nate a Bologna, mia mamma è di Carpi, in provincia di Modena, e mio papà era del Gabon, vicino al Congo. Quando eravamo piccole siamo state là diverse volte, infatti i tessuti che vedi nel nostro laboratorio sono tessuti wax, che vengono utilizzati molto nel Gabon. È un cotone cerato molto resistente. 


Mio padre le portava spesso, quindi è un tessuto che ci ispira molto fin da quando eravamo piccole, quando ci facevamo fare i vestitini. In Africa si usa molto, nonostante ci siano i centri commerciali, perché il costo dei prodotti di sartoria è molto basso. Fino a qualche anno fa, si usava più andare dal sarto per avere vestiti su misura, piuttosto che acquistarli in negozio. Mentre per il pellame lo recuperiamo in Toscana, da un’azienda che vende pellami da riuso.




Cosa si intende per “pellame da riuso”?

In pratica si tratta di pellame in stock, proveniente da fallimenti, oppure da grandi aziende come Gucci, Dolce e Gabbana, che anno dopo anno, magari hanno una collezione particolare che poi non usano più e che rivendono a piccole imprese, che poi li vendono a noi. In questo modo si pagano a un prezzo inferiore. L’unico problema è che spesso sono in colori limitati o comunque particolari. Alcuni colori, come il nero, però ci sono sempre, quindi almeno con questo possiamo continuare eventuali collezioni. In ogni caso l’unicità vince su questo aspetto, perché i nostri prodotti non possono essere ripetuti all’infinito. 


Qual è il vostro prodotto di punta?

La nostra produzione è iniziata con le borse, quindi all’inizio vendevamo soprattutto borse fatte su misura. Facevamo scegliere al cliente la fodera, il materiale, la forma, il colore, e aggiungevamo le iniziali. 

Nel tempo siamo cresciute, ci siamo rese conto che fare tutto personalizzabile è piuttosto complicato e quindi abbiamo iniziato a creare collezioni vere e proprie. Quindi borse un pochino più in serie, per quanto possibile. 


Oggi vendiamo ancora tante borse, però forse il prodotto di punta è il tortellino portachiavi, che è un po’ il simbolo della nostra città ed è il nostro core business. Piace molto sia in Italia che all’estero. È un gadget che vendiamo all’Ufficio del Turismo di Bologna e a New York o in Canada, nei pastifici. È un prodotto molto apprezzato da italoamericani che producono pasta all’estero. 


In aggiunta, abbiamo anche molte creazioni nel settore dell’abbigliamento. Siamo molto soddisfatte a riguardo, infatti l’anno scorso abbiamo venduto 80 pezzi, mentre quest’anno 500 quindi considerando che è una produzione tutta fatta qui dentro, in un laboratorio piccolo, ha significato molto. L’abbigliamento copre il 20% del nostro fatturato ed è forse l’aspetto che più ci dà soddisfazione. 


Fino a dieci anni fa, indossare stoffe wax a Bologna era visto come una cosa un po’ etnica, che non si faceva, e invece siamo riusciti a renderla più cool e di tendenza. Fa parte anche di un processo di integrazione che apprezzo molto.




Forse è anche dovuto al processo di crescita della città

Sì, di questo ne ha beneficiato. C’è voglia di distinguersi un po’, di indossare qualcosa di diverso. Per noi sono tessuti che rappresentano le nostre origini, quindi vedere una ragazza che si veste in questo modo ci fa molto piacere. 


Avete dei progetti per il futuro?

Vorremmo mantenere questo laboratorio, però per fare più che altro produzione, e prendere invece un negozio vero e proprio. Stiamo valutando la zona vicino alle due torri, perché ci piacerebbe fare un po’ più di vendita diretta. Al momento vendiamo prevalentemente online, abbiamo dei rivenditori per il tortellino ma ci piacerebbe avere anche una piccola boutique per la vendita al dettaglio, con un contatto diretto con i clienti. 


Noi facciamo anche corsi e insegniamo a realizzare borse. Sono attivi soprattutto d’estate, dedicati prevalentemente ai turisti, però l’idea di avere un luogo solo per la produzione sarebbe ideale anche per seguire più persone durante i corsi. Al momento abbiamo due macchine da cucire industriali, se riuscissimo ad averne quatto riusciremmo a seguire anche 5-6 persone in contemporanea e a rendere i corsi più economici.

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