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Ai piedi del Parco Nazionale del Pollino, tra l’aria fresca dei monti e la brezza marina dello Ionio, nasce a Frascineto in provincia di Cosenza l’azienda Cantina Rizzo.
Per voi abbiamo incontrato Francesco, un giovane che con coraggio, passione e dedizione ha scelto di coltivare vitigni autoctoni e antichissimi e di portare avanti così le radici familiari, realizzando il vino più raro della Calabria.
Buongiorno Francesco, vuoi raccontare ai nostri lettori com'è nata Cantina Rizzo?
Cantina Rizzo nasce nel 2006 con mio papà, che ha deciso di impiantare cinque ettari di vigneto, con lo scopo principale di preservare vigneti autoctoni. A distanza di anni ha passato le redini a me e nel 2019 ho iniziato la mia attività.
Ad oggi abbiamo un'estensione complessiva di quindici ettari di vigneto dove coltiviamo uve come il Pecorello (a bacca bianca), Magliocco Canino e Greco Nero (a bacca nera) e il vitigno più raro: il Montonico Pinto.
Al momento produciamo una linea di cinque bottiglie, nello specifico: due rossi, due bianchi, un rosato e sta per uscire la sesta bottiglia, un altro bianco di Montonico Pinto.
Cosa produci? E qual è il tuo prodotto di punta?
Siamo l’azienda che produce il vino più raro della Calabria. Il vino di punta è il Montonico Pinto, un particolare vitigno che negli anni ha subito una modifica genetica dal Montonico. E’ un’uva molto rara perché in Calabria ne viene coltivata poco meno di un ettaro e i proprietari di questo ettaro siamo appunto noi, la cantina Rizzo.
Utilizzi un metodo di lavorazione particolare alla Cantina Rizzo? Quali sono le fasi del tuo lavoro?
L'azienda ha una filosofia, il vino artigianale. Non vinifichiamo vini convenzionali. Il metodo artigianale si distingue dagli altri metodi perché è quasi tutto naturale, tranne l'influenza di processi fisici al loro interno come la filtrazione e l'uso di temperature in fase fermentativa o nei vari processi produttivi.
Questa filosofia della cantina Rizzo cerchiamo di portarla in tutti i prodotti esistenti, in particolare nel prodotto di punta, il Montonico Pinto, che subisce oltre a questo particolare processo anche un inoculo di alcuni particolari lieviti selezionati indigeni.
Il processo produttivo consiste nel metodo delle tre vendemmie. In vigna, su un unico filare si passa tre volte: la prima vendemmia viene destinata alla bottiglia e le restanti due vengono destinate al prodotto sfuso o addirittura per la vendita in altri settori.
Le uve vengono successivamente conferite in cantina dove avviene una diraspatura e una pressatura soffice, per poi passare alla criomacerazione a bassa temperatura per almeno dodici ore. Da lì si ottiene un prodotto sano e genuino senza l'aggiunta di nessun tipo di conservante con fermentazione spontanea.
Una volta terminata la fermentazione alcolica si passa direttamente all'affinamento in acciaio, (al momento stiamo conducendo anche alcuni esperimenti in botte). Si prosegue poi con la filtrazione e si conclude in bottiglia con nessun tipo di sofisticazione e nessun tipo di arricchimento, ottenendo un prodotto che risulta il più naturale possibile. Ne consegue così un vino identitario del territorio.
Francesco, cosa ami di più del tuo lavoro?
Inizialmente pensavo fosse l'approccio con il cliente, trasmettere la mia la passione, la mia filosofia ad altre persone anche ad altri giovani produttori come me, poi con gli anni mi sono reso conto che quello che mi piace di più è sperimentare, sia in vigna che in cantina.
Il mio motto è: “Una vendemmia senza sperimentazione è una vendemmia persa”.
Come stai impostando la tua produzione affinché sia ecosostenibile?
Noi siamo della cantina Rizzo già in regime biologico, dalla conduzione dell'intero ciclo produttivo dei vigneti alle vinificazioni in vigna, però per ecosostenibile non intendiamo solo non usare prodotti chimici, ma anche un risparmio energetico considerevole.
Vogliamo iniziare ad inserire dei pannelli solari su interi capannoni nei vari stabilimenti di produzione e, oltre a questo, vogliamo anche sensibilizzare il cliente riguardo ad alcuni processi che attualmente richiedono un considerevole dispendio di energia solo per poter produrre un prodotto che agli occhi del consumatore finale sia il più puro/limpido possibile.
In realtà ci sono dei meccanismi che non vanno ad inficiare a livello organolettico il vino, come ad esempio la precipitazione tartarica: cioè cristalli di bitartrato di potassio all'interno, visibili sul fondo di una bottiglia di vino. Il processo fisico utilizzato all'interno della cisterna impiega molta energia perché bisogna portare un volume molto ampio a temperature molto basse per poter far sì che il prodotto in bottiglia risulti il più limpido possibile.
Questo è un processo che, a mio parere, si potrebbe evitare perché i cristalli di bitartrato di potassio sul fondo della bottiglia non inficiano in nessun caso a livello organolettico il vino. Quindi con una buona informazione al consumatore finale si può far notare che anche una bottiglia avente il fondo è anch'essa di uguale qualità, risparmiando così in modo considerevole sull'energia elettrica.
Hai dei progetti per il futuro? Quali?
Si, i progetti per il futuro sono tre: il primo, quello forse più importante, è rendere ecosostenibile l'intero processo produttivo della cantina che attualmente si aggira intorno al 50% - 60%. Vorrei arrivare quasi al 100%.
Il secondo è quello di lanciare sul mercato una linea di cinque bottiglie DOP sperimentando su vini in diversi modi di affinamento, come botti in legno o addirittura anfora.
Il terzo è quello più ambizioso: vorrei portare in produzione, in aggiunta ai vini fermi, il primo spumante di questo vitigno molto raro… Speriamo di riuscirci!
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