La Scarabattola, la bottega che ha reinventato il modo di vedere il presepe

Articolo di Valentina Guerra

I fratelli Scuotto iniziano la loro attività ventisette anni fa avventurandosi in quello che è un mondo carissimo ai napoletani e proprio per questo visto quasi come intoccabile, quello presepiale. Come laboratorio scelgono il centro storico della città e da allora, tra sfide e destino, ne hanno fatta di strada. 

Ciao Lello, parlaci di te e della tua attività la Scarabattola

Mi chiamo Lello Scuotto, rappresento i fratelli Scuotto della bottega d’arte presepiale napoletana “La Scarabattola”. Il mio ruolo è di occuparmi di quella che è la commercializzazione, l'amministrazione e la gestione delle vendite. 

Questa bottega nasce nel 1996 ed è stata una scommessa. Io e mio fratello insieme pensavamo di dover fare qualcosa a Napoli nonostante fosse una città molto complicata, oltretutto lavorare nell’arte sarebbe stata una sfida molto complessa.

La mia fortuna è di avere vicini sia quel fratello che è Salvatore, sia Emanuele. In seguito sono subentrate anche Anna e Susy, quindi il gruppo si è strutturato nel tempo e il mio ruolo, che è quello appunto di rappresentare e incorniciare il loro lavoro, è stato agevolato dal fatto che hanno un gran talento. Nel ‘96 la scommessa era un po’ complessa come dicevo prima, perché eravamo a confronto con delle storie importantissime come quelle di San Gregorio Armeno, quindi una struttura molto ben articolata di generazione in generazione che ci ha quasi obbligato a trovare una strada alternativa. 

Il nostro modo di essere liberi dal punto di vista dell’ispirazione e di poter fare del Presepe una ricerca nuova ci ha addirittura favorito perché liberi da gabbie concettuali, liberi da quel modo di dire “si fa così, non si fa così”. Questo ha agevolato i miei fratelli ad essere molto molto aperti e nel 2001 quando proprio stavamo, come dire, confrontandoci con quello stesso mondo che quasi ci respingeva per queste idee eccessivamente innovative, ci fu la fortuna di concorrere al Palazzo Reale di Spagna. 

Il Patrimonio nazionale di Madrid passò per caso da queste parti (non eravamo neanche nell’elenco dei papabili) e ci propose di partecipare al concorso per il Presepe Reale. E il treno che è passato lo abbiamo preso: quel concorso lo abbiamo vinto addirittura doppiamente, perché i lotti che vincemmo furono 2 su 3, quindi vuol dire che prendemmo tutto l'appalto della lavorazione di 147 figure nuove per il Presepe della Casa Reale di Spagna.

Un trampolino che poi fu anche un'altra ulteriore sfida perché dovevamo dimostrare di essere all'altezza e da quel momento ci siamo “complicati” molto la vita per essere eccellenti!

Abbiamo ottenuto l'encomio del Patrimonio nazionale e grazie a quel fenomeno e a chi ha creduto in noi anche in tempi non sospetti, come un francese che ci diede delle commissioni molto coraggiose, la bottega è sopravvissuta al momento più difficile cioè quello di affermarsi in un territorio difficile, in un mondo lavorativo dove effettivamente eravamo i più fragili perché eravamo una bottega giovane a dispetto delle grandi storie che ci avevano preceduto.

Cosa rappresenta per voi della Scarabattola, il Presepe?

A essere onesti, quando abbiamo cominciato il Presepe non è che ci affascinava tanto, ci sembrava più un ambito dove poter fare delle cose che si potessero vendere e quindi costruire i presupposti commerciali. Poi quasi immediatamente abbiamo scoperto che il Presepe è una cosa fantastica! È fantastica perché la sua lettura va fatta non solamente dal punto di vista estetico: è un contenitore di simboli straordinario, ecco perché quando approcciamo al Presepe napoletano dovremmo essere capaci di individuare delle comunicazioni importanti.

Il Presepe, infatti, ti fa vedere la città di Napoli, quindi non ti sta raccontando cosa è successo a Betlemme: vivi dei costumi che erano contemporanei del periodo del diciottesimo secolo. E questi sono due messaggi precisi. Si dice “Guarda, io ti racconto a Napoli il Presepe perché lo posso raccontare ovunque” quindi è universale in tutti i luoghi del mondo e ti racconta quel momento storico preciso, come esteso a tutti i tempi. 

Quindi non c'è un racconto storico ma appunto è metastorico, cioè ha la capacità di raccontare la nascita di Cristo contemplandola universalmente, nei luoghi di tutto il mondo e in tutti i tempi.

Ecco perché spesso vediamo anche soggetti molto bizzarri. Ci chiediamo come mai c'è il mellonaro che vende i meloni a Natale. Invece no, quella figura lì specificamente è la figura che racconta il mese d'agosto, quasi come quella dei fichi che racconta luglio oppure le castagne a settembre. C'è l'estensione temporale di un bisogno, è una società che si racconta in tutte le sue fattispecie, anche nelle manifestazioni più dure. Per raccontare cosa? La nascita di Cristo, intesa come perdono dei nostri peccati.

Quali elementi innovativi avete apportato alla tradizione?

Lavorando ci siamo accorti che il Presepe aveva dei vuoti da colmare: non si parlava di omosessualità, della nudità o delle prevaricazioni mafiose. Quindi abbiamo fatto delle operazioni che estendevano il concetto di presepe alla vita di tutti i giorni, fatta anche di queste storie molto significative. Il Presepe è uno strumento “pericoloso” perché non è un'opera da galleria d'arte contemporanea vincolata ad un luogo ovattato e chiuso per addetti ai lavori, invece va esteso alla platea cioè si mette nelle chiese, si mette anche nei luoghi museali ma soprattutto in tutte le case. 

Suggerisce la possibilità a noi autori di raccontare delle cose, raccontare anche delle storie molto interessanti che abbiamo perduto con la memoria, perché poi il tempo passa e ci dimentichiamo tante cose. Il nostro racconto è strutturato anche grazie a Roberto De Simone e a grandi maestri di questo calibro, oppure anche grazie a degli antropologi che ci hanno dato un supporto e con cui siamo andati oltre. 

Abbiamo, come dire, recuperato storie magnifiche delle paure del Natale, le logiche addirittura esoteriche del Presepe e per noi è diventato un mondo aperto a tutto.

Di recente abbiamo fatto quello che si chiama “Il Presepe favoloso” proprio perché traduce tante favole. Attualmente si trova, e ci resterà per sempre, alla Basilica di Santa Maria alla Sanità, nel quartiere Sanità appunto, all’interno della sacrestia.

Un lavoro fatto nel periodo del lockdown e che abbiamo donato alla città, grazie anche al supporto del nostro scenografo Biagio Roscigno e a quello di altre persone che ci hanno dato una mano anche finanziariamente, sostenendo questo dono che è un racconto universale del Presepe ai tempi nostri, con tutta la forza della modernità.

Ormai da diversi anni, e in particolare nel post-pandemia, Napoli vive un periodo di forte afflusso turistico durante tutto l’anno. Come avete affrontato questo cambiamento che ha, in buona parte, anche stravolto il centro storico in cui lavorate?

Diciamo che in 27 anni di bottega abbiamo tante storie da raccontare e nel corso del tempo sono cambiate molte cose. Adesso Napoli vive questo momento felicissimo di grande turismo, di grande rendimento turistico. Il paradosso contrario è che Napoli, che aveva bisogno di fare una grande propaganda di sé e quindi vendere l'industria turistica, si mettesse nelle condizioni oggi di qualificare il turismo.

Spiego meglio. Il paradosso è che attività come la nostra, purtroppo, stanno andando a morire: cioè quello che doveva emergere in questo centro antico di botteghe, di autori, di artigiani e di artisti sta soffrendo la prevaricazione di attività di tipo, diciamo così, ludico-ristorativo e questo schiacciamento (favorito anche con dei fondi economici tante volte, mi permetto di dire, anche di dubbia provenienza), questo ci crea un grande imbarazzo perché l’offerta che si sta facendo sta diventando “chip”, cioè un tipo di offerta molto banale e un po’ grottesca e questo produce altrettanto una domanda di questo tipo. 

Quindi quello che sta succedendo è che i grandi flussi qualitativi stanno venendo un po’ a mancare, costringendoci per esempio a chiudere la domenica e stare un po’ più attenti al cliente migliore che deve essere pilotato durante la settimana. Perché, ripeto, la città ha bisogno dell'industria turistica, però adesso tocca alle amministrazioni governarla; attualmente siamo un po’ nel caos, un caos non governato, dove c'è anche molto lavoro oscurato, ci sono flussi di economie che poi non riescono a rendere ricca la città come dovrebbe essere.

A quali progetti state lavorando oggi e quali sono i prossimi passi della bottega?

Attualmente, per il tredicesimo anno consecutivo, siamo molto orgogliosi di continuare a lavorare per Giffoni Film Festival. Tutti i premi che si fanno a Giffoni e la cura di queste cose le facciamo noi da quando abbiamo conosciuto il patron Gubitosi che ci ha affidato il ruolo di costruire il premio connotativo del Festival ed è un'occasione straordinaria.

Oltre ad aver pubblicato “Il libro del Presepe favoloso” che vi invito a vedere presso la Basilica di Santa Maria dove ci sono le catacombe di San Gaudioso, stiamo lavorando al completamento di un presepe molto affascinante a Roma, che si chiamerà “Il Presepe della Regola”. 

Molti, anche di Roma addirittura, non sanno dove si trovi il quartiere Regola: in realtà è vicino Trastevere ed è uno dei posti più belli e più interessanti di Roma. Anche lì il Presepe potrà raccontare cose dimenticate, per esempio chi erano i carnacciari o i pettinari, cioè quei ruoli e quei mestieri antichi di Roma che ovviamente sono stati dimenticati (a volte, per esempio, solo i nomi delle strade ci ricordano queste cose). 

Stiamo lavorando su questo Presepe strutturando appunto un racconto di Roma con anche l'impianto cattolico che c'è a Roma, fino anche a delle notizie su qualche rifacimento di qualche quadro importante, come facemmo tempo fa sul Caravaggio che abbiamo fatto per il Presepe degli Stati Uniti per il Giubileo. E altre cose interessanti che vi proporremo a fine anno.


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