L’orafa Martina Ciao e le sue originali creazioni tra favole, simbologia e un tocco di esoterismo

Articolo di Valentina Guerra

La piccola bottega orafa “Aretè” si trova proprio a Spaccanapoli, in un cortile storico, angolo tranquillo e accogliente del centro storico. Qui Martina crea pezzi molto originali prendendo ispirazione dalla storia della città ma anche dai temi più diversi, che vanno dalla magia delle favole e arrivano all’esoterismo dei tarocchi.

Martina parlaci di Aretè

Mi chiamo Martina Ciao, vivo a Napoli e ho una bottega artigianale di gioielli “Aretè”. 

Ho una formazione di tipo classico ma non ho studiato in scuole di oreficeria. Questo è stato da un lato un vantaggio e da un lato invece un po’ uno svantaggio, perchè il mio approccio alla tecnica è stato un po' più lento e anche diciamo di scoperta; invece il vantaggio è quello di non rientrare nello stereotipo della della formazione classica. 

Il mio logo è una lisca di pesce che in realtà arriva dopo una lunghissima e complessa meditazione su come dare forma al mio lavoro. E deriva semplicemente dal fatto che ho sempre disegnato, anche per gioco, queste forme di lisca e di pesce forse perché sono di un segno d'acqua e quindi mi piace tutto quello che è legato al mare.

Il nome “Aretè”, invece, fa riferimento alla mia formazione classica ed è arrivato per caso perché l'ho sognato di notte e vuol dire “virtù”. Per me un bel significato perché una virtù è qualcosa con cui si nasce ed è un po' quello che caratterizza il mio lavoro.

Che forma hanno i tuoi soggetti e da cosa ti lasci ispirare?

I soggetti delle mie collezioni attingono un po' dalla città cioè dal contesto in cui io sono inserita, perché appunto sono nel cuore pulsante di Napoli e quindi è inevitabile per me parlare di quello che è la storia della mia città. Anche fare riferimento al mito di fondazione e quindi per esempio c’è la collana con la Sirena Partenope o orecchini, ciondoli e bracciali ma anche molti soggetti legati al Vesuvio o a San Gennaro,il patrono della città, molto sentito e benvoluto che compie il miracolo 3 volte l'anno ed è un soggetto sempre richiesto e apprezzato. Giocosamente l’ho rifatto in molti modi, perché è sia una chiave religiosa ma anche un po' blasfema quindi legato alla superstizione.

Oltre a questi soggetti ce ne sono tanti altri che attingono al mondo un po' infantile che è quello delle favole, ad esempio Il piccolo principe o la favola di Cappuccetto Rosso ma anche soggetti come ad esempio la Volpe e l'uva che sono un riferimento alle favole più classiche e più antiche.

Un altro filone tematico è quello che appartiene un po' alla sfera esoterica, perché Napoli è una città esoterica e ci sono soggetti legati sia al mondo dei segni zodiacali che a quello dei tarocchi.

Come percepisci il tuo lavoro oggi che l’artigianato attraversa un momento delicato e soprattutto che approccio hai con le altre botteghe del centro storico?

La relazione tra il mio lavoro e chi come me lo svolge è in realtà un dialogo aperto, io non non risento di un clima di competizione, nonostante oggi si parli molto di crisi soprattutto nell'ambito dell'artigianato.

Questo perché credo molto nell'espressione individuale delle forme. Si può dire la stessa cosa ma utilizzando tanti modi diversi, io posso raccontare della Sirena così come un'altra persona che vive in questa città, perché è un sentimento comune ma sarà interpretata in due modi completamente diversi.

Quindi per me la parte proprio più importante è il fatto che molte persone riconoscano un lavoro come mio senza neanche sapere che l’ho fatto io. Questo vuol dire avere una forte identità ed è la cosa che mi sta più a cuore.

Per quanto riguarda la crisi e la difficoltà di portare avanti il lavoro, dipende un po' dal fatto che l'artigiano deve ricoprire molti ruoli, che sono l’essere ideatore poi quello di dare forma all’oggetto, quello di pubblicizzarlo e infine essere venditore delle proprie opere.

La difficoltà che ho riscontrato in questi anni è appunto quella di imparare a proporre e quindi dare un valore, un valore oggettivo ed economico. L’artigiano deve prendere consapevolezza ma anche sicurezza in se stesso e vedo, per esempio, che c’è questo gap anche negli altri. Però negli anni si impara a fare anche questo e quando c'è una sorta di disinvoltura nel sapere riconoscere il valore di un oggetto fatto con le proprie mani e nel trasmettere questo valore all'esterno, c'è più facilità nella vendita.

Quale sarà il futuro di Aretè?

Per il futuro immagino di ampliare la mia visibilità puntando su uno shop on-line, perché il vantaggio del luogo in cui mi trovo a lavorare ha anche il rovescio della medaglia, cioè lo svantaggio, dal momento che mi trovo in pieno centro storico ma un po’ nascosta all’interno di un cortile, il che mi permette di raccogliermi intimamente nei miei momenti creativi ma al tempo stesso di accogliere meno visitatori di quanto potrei se fossi fronte strada. Questo mi porta a proiettarmi sul discorso web.


Il sapore del convivio Vestalia: i sughi come li fa la nonna
Articolo di Gaia Senise