Imprese manifatturiere, tra sostenibilità ambientale e performance economica

Articolo Hermes Carbone

L’equilibrio tra sostenibilità e competitività è uno dei dilemmi che appartengono da sempre ad aziende e imprese manifatturiere. In un mondo nel quale la transizione ecologica non è più una scelta opzionale, ma un percorso strategico, come se la passano le realtà italiane? A raccontarlo è una analisi dell’Istat pubblicata negli scorsi giorni.

Secondo l’ultima Statistica Focus relativa al biennio 2021-2022, il 59% delle imprese manifatturiere italiane con almeno 10 addetti ha intrapreso almeno un’azione in favore dell’ambiente. Si tratta di 39.000 aziende, responsabili in totale del 70,9% del valore aggiunto generato dal settore. Numeri molto inferiori rispetto a quelli presenti in paesi stranieri.

Azioni concrete e diffuse, ma mancano le PMI

Le imprese stanno agendo, ma spesso in modo frammentario. E all’interno dell’analisi manca un dato importante: quello delle PMI con meno di 10 dipendenti. Un numero affatto banale. Perché nel Paese corrisponde, secondo i dati più recenti diffusi da Confartigianato, a oltre 4 milioni e 200 mila realtà. In Italia, su circa 4,4 milioni di imprese attive, le microimprese con meno di 10 addetti rappresentano il 95,13% del totale. A essere impiegati sono oltre 7 milioni e mezzo di persone, ovvero più del 40% della forza lavoro attiva nel settore privato.

L’intervento più diffuso, spiega l’Istat, è il monitoraggio dell’inquinamento ambientale (36,8%), seguito dalla predisposizione di piani di efficientamento energetico (43,4% tra quelle che hanno fatto almeno un’azione) e dall’utilizzo di materiali riciclati (35%). Solo il 9,9% delle imprese controlla le emissioni di CO₂. Nella maggioranza dei casi si parla di una o due azioni isolate: solo il 14,4% delle aziende ha attuato almeno cinque misure diverse.

Oltre 27.000 imprese (42%) hanno investito per una gestione energetica e dei trasporti più sostenibile. Le azioni più frequenti includono l’installazione di impianti ad alta efficienza (61,9%) e di fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica (42%). Le grandi aziende (250 addetti o più) sono molto più attive: il 78,5% ha fatto almeno un investimento in questo ambito, contro il 37,7% delle piccole. Il Mezzogiorno, spesso considerato fanalino di coda, mostra una sorprendente vivacità negli investimenti in fonti rinnovabili, superando il Nord in alcune categorie.

I settori più reattivi: chimica, farmaceutica e plastica

Alcuni comparti si distinguono per un maggiore impegno ambientale. La chimica (76%), la farmaceutica (72,6%) e il settore gomma-plastica (73,8%) – tra le più inquinanti del settore - guidano la classifica delle imprese che hanno realizzato almeno un’azione ecologica. Anche per quanto riguarda gli investimenti, questi settori mostrano un’intensità superiore alla media, trainati sia da importanti fatturati, ma anche dalla pressione normativa e dalla necessità di trasformarsi.

Sostenibilità e produttività: un legame che premia

L’indagine dell’Istat evidenzia una correlazione positiva tra sostenibilità e performance economica, in particolare per le imprese con un impegno medio o alto. L’uso di fonti rinnovabili, l’efficienza energetica e le azioni articolate nel tempo si traducono in una maggiore produttività del lavoro (valore aggiunto per addetto) e in una migliore resilienza alla crisi. Il beneficio economico è però visibile solo quando la sostenibilità è integrata nella strategia d’impresa, non se viene adottata in modo occasionale o per sola conformità normativa.

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Le best practice adottate da aziende Made in Italy

Tra le aziende Made in Italy, sono diversi gli esempi di best practice da seguire sotto il profilo green, ma senza penalizzare la performance economica. 

Artsana (Chicco), ha puntato sull’efficienza energetica e la moda sostenibile implementando sistemi di cogenerazione e trigenerazione nei suoi stabilimenti italiani. In questo modo ha ridotto le emissioni di CO₂ di circa 500 tonnellate all'anno e lanciato una linea con imbottiture realizzate al 100% da fibre riciclate provenienti da bottiglie di plastica. 

O ancora Barilla, che ha adottato una strategia sostenibile basata sull'uso intensivo di energie rinnovabili. In questo modo ha ridotto del 25% le emissioni di CO₂ negli ultimi tre anni. L'azienda investe anche in grano sostenibile e filiere trasparenti, con l'obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2030. 

Ferrarelle ha avviato un impianto per il riciclo del PET, producendo bottiglie nuove composte al 50% da PET riciclato (R-PET). 

Kerakoll ha adottato sistemi di trasporto intermodale sostenibile per ridurre l'impatto ambientale della logistica. 

Borbonese ha introdotto materiali ottenuti da bottiglie di plastica e reti da pesca riciclate per la produzione delle sue iconiche borse Luna Bag. 

Vegea produce tessuti sostenibili utilizzando vinacce, un sottoprodotto della produzione del vino. Questo processo di upcycling trasforma rifiuti agricoli in materiali per la moda e il design, riducendo l'uso di risorse fossili e animali. E potremmo proseguire…

Crescita a lungo termine: il valore aggiunto come indicatore

Guardando al periodo 2018-2022, il 63,1% delle imprese manifatturiere con almeno 10 addetti ha registrato un aumento del valore aggiunto. Quelle più orientate alla sostenibilità (alto profilo) mostrano performance migliori nel tempo. Anche le imprese che investono in innovazione e tecnologie digitali mostrano una crescita più marcata, a dimostrazione del fatto che modernizzazione e sostenibilità possono andare di pari passo.

Nonostante i segnali positivi, la quota di imprese che opera con strategie davvero strutturate resta minoritaria: solo il 6% rientra nel cluster ad “alta intensità” di sostenibilità. Serve un’accelerazione, soprattutto tra le piccole e medie imprese, che rappresentano la spina dorsale del Made in Italy. L’adozione di pratiche ambientali integrate non solo migliora la reputazione, ma aumenta la competitività nei mercati globali sempre più sensibili al tema green.


                   

Innova per guidare il cambiamento


Perché le aziende che rappresentano l’eccellenza del Made in Italy hanno l’occasione di trasformare la sostenibilità ambientale in leva strategica. Per farlo, servono però azioni integrate: dagli investimenti in tecnologie ad alta efficienza all’adozione delle fonti rinnovabili e di materiali riciclati.

Senza dimenticare di monitorare consumi e impatti lungo tutta la filiera. Scelte che nel complesso rafforzano competitività e reputazione. 

Le PMI, cuore del Made in Italy, possono fare rete per accedere a incentivi, know-how e strumenti condivisi. 

Il futuro del prodotto italiano passa da qui: qualità, bellezza e responsabilità ambientale. Chi non evolve, resta indietro. Chi innova, guida il cambiamento.

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Imprese manifatturiere, tra sostenibilità ambientale e performance economica
Hermes Carbone 14 maggio 2025
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