Sdrucciolo de’ Pitti, affacciato sul noto palazzo fiorentino da cui prende il nome, raccoglie tante piccole realtà artigiane che, soprattutto durante e dopo la pandemia, si sono fatte forza a vicenda per portare avanti una tradizione tutta toscana e italiana. Il laboratorio di Beatrice Filippini è situato all’angolo con via Toscanella e racconta una storia lunga ma proiettata con coraggio verso il futuro.
Beba Gioielli consiste di un ricco campionario di gioielli e accessori fatti a mano, frutto di anni di studio, di esperienze e di idee.
Beatrice, da dove sei partita? Dove hai imparato a realizzare tutto questo?
Ho frequentato l’Istituto d’Arte di Firenze, sezione oreficeria. Ho lavorato in diversi laboratori e nel 1995 ho aperto Atelier Orafo: mi occupavo solo di pezzi unici in oro. Poi ho iniziato con metalli diversi e ho creato Beba Gioielli; si tratta di gioielli in bronzo ma lucidati a mano, con la cura dell’oreficeria. È bijou, ma è realizzato come se fosse un oggetto di metallo prezioso.
E per quanto riguarda gli accessori? Cappelli, occhiali, borse…
Io ho sempre disegnato, ho sempre progettato; la mia passione è progettare cose. Gli accessori come borse e cappelli li disegno, li progetto e poi li realizzano altri artigiani del territorio. È tutto fatto in Toscana, ma dove non arrivo io arrivano altri artigiani, che sono anche amici. I cappelli sono particolarmente legati al territorio, perché esiste una tradizione fiorentina per quanto riguarda i cappelli di paglia e la lavorazione della paglia.
Anche gli occhiali sono fatti in Toscana e sono in bioplastica, con alcuni inserti in pelle di mela.
Le borse sono in pelle di mela: la pelle di mela è una pelle per il 50% sintetica e per l’altro 50% fatta con derivati dalle lavorazioni della mela. Non è una pelle animale, questo è il suo pregio.
Cosa differenzia la tua bigiotteria dalla bigiotteria in genere?
Negli anni Ottanta il bijoux era considerato un assemblamento di pezzi stampati e combinati. Qui si parte da un disegno, si parte da un progetto, si parte dalla lastra piana: si incrocia, si salda, si lucida. È un po’ la concezione dell’oreficeria. C’è anche una parte ecosostenibile perché tutti gli scarti del metallo vengono rifusi e riutilizzati, per cui non ci sono sprechi e scarti.
Che rapporto hai con Firenze? E con l’estero?
Il rapporto è strettissimo, come lo è per tutti gli artigiani. Essere un artigiano nel centro storico non è semplice: ci sono delle regole un po’ difficili, come portare la merce, i materiali. Faccio anche fiere all’estero cercando di esportare un prodotto fiorentino. Ho un prodotto turistico, ma fatto a Firenze e fatto da me.
Firenze è una città molto turistica. Che rapporto hai con i turisti e con i viaggiatori?
Dipende. I miei articoli richiedono tempo per guardarli nei particolari. Il turismo rapido e veloce non si ferma. Adesso c’è un nuovo tipo di turismo, diverso: le persone si fermano, vogliono parlare, vogliono capire gli oggetti, vogliono interagire. Non è solo un “compro un ricordo e scappo”: il ricordo deve ricordare quel momento, per cui si crea un rapporto diverso. Questo turismo è quello che piace a me.
Quanto è importante avere un luogo in cui lavorare?
Lo spazio fisico è importante e non è mai abbastanza. Io sono in questo posto da quattro anni ed è un posto abbastanza grande. Potrei anche riempire un capannone dai tanti oggetti che ho! Però prima ero in tredici metri quadri con laboratorio e vendita, per cui era molto complicato. È anche difficile trovare uno spazio grande a un prezzo adeguato.
Sei particolarmente legata a qualcuno dei tuoi prodotti?
Una collezione a cui sono molto legata è la collezione delle farfalle perché mi ha fatta conoscere e piace. Il gioiello del cuore è il coupe du cinema: sono delle scene di film anni ’50 e ’60, in 3D, è concepito come le quinte del teatro, composto su diversi livelli: ha profondità e poi racconta film che ancora sono famosi.
Hai progetti per il futuro?
Io sono sempre in movimento. A me i cambiamenti piacciono. L’obiettivo adesso sono gli Stati Uniti: sto cercando di promuovere lì il mio prodotto. È un lavoro lungo, difficile, soprattutto per una realtà piccola come la mia. Cambiare… Sempre! Progetti ce ne sono tanti. Vediamo!