I fratelli Riccardo e Armando Civitella sono gli eredi più giovani di una tradizione familiare lunga ben 150 anni. Da quando il loro antenato Severino aprì la prima bottega accanto al Vaticano, tutti i figli e nipoti sono sempre stati marmisti, anzi, marmorari, come si dice qui e come loro tengono a definirsi. Riccardo e Armando hanno imparato il mestiere da giovanissimi, prima con gli occhi e poi con le mani, proprio come si faceva una volta. È per la loro sapienza antica (rara al giorno d’oggi, specie se contaminata con gli studi universitari e i continui aggiornamenti) che i Civitella vengono chiamati in tutt’Italia e all’estero per svolgere i lavori più difficili e creativi, quelli che tanti colleghi non osano fare. Chiacchierare con loro nel laboratorio di via Alfana è stato come fare un tuffo nella storia dell’artigianato romano.
Armando, la vostra attività ha una lunga tradizione. Vuoi raccontarcela?
La nostra azienda si chiama Civitella creazioni marmi. È un’azienda specializzata nella lavorazione del marmo e delle pietre dure semipreziose, oltre che nel restauro. La nostra è la storia di una classica azienda italiana a carattere familiare: siamo nati nel 1875 e il fondatore è stato nostro nonno Severino. La bottega, che non aveva ancora il nome di oggi, si trovava inizialmente nel quartiere Borgo, a due passi dal Vaticano. Lì si trovavano originariamente tutte le attività che servivano il Papa, dai falegnami fino a noi marmorari. Dopo la fine della guerra, con l’esigenza di nuovi spazi per lavorazioni più imponenti, queste attività artigianali si sono spostate verso la periferia della città, e ormai da settant’anni la nostra sede si trova a Roma Nord. Abbiamo sempre cercato di mantenere la tradizione dei marmorari romani dell’800 e, pur essendoci aggiornati con macchinari moderni, non abbiamo mai voluto abbandonare le tecniche antiche della scuola romana e laziale.
Che ruolo occupate all’interno dell’azienda? In cosa siete specializzati?
ARMANDO: Io, oltre all’apprendistato in famiglia, mi sono laureato in conservazione dei beni culturali e ho potuto unire la tecnica tradizionale di lavorazione dei marmi con i metodi scientifici moderni, usati nel restauro contemporaneo. In azienda mi occupo principalmente di questo.
RICCARDO: Io mi occupo della parte economica come amministratore, ma oltre a questo sono specializzato in intarsio e lavorazione di pietre antiche e semipreziose; ho anche una base di scultura.
Che tipo di lavorazioni effettuate?
Cerchiamo di coprire tutte le richieste del mercato, dall’arredamento di interni fino alle commissioni per monumenti e sculture, oltre naturalmente ai restauri. Lo standard quindi viene coperto a trecentosessanta gradi. Le uniche lavorazioni che non facciamo sono quelle funerarie, per una scelta dettata dal nostro gusto e dalla nostra sensibilità. Abbiamo fatto delle eccezioni in alcuni casi, quando si è trattato di monumenti e personaggi importanti.
La nostra specialità sono i lavori più particolari e tecnicamente difficili, quelli che magari altri colleghi si rifiutano di fare. Spesso ci vengono chieste opere che comportano grosse difficoltà tecniche e richiedono sapienza e aggiornamento. Per via di questa nostra specializzazione riceviamo anche richieste internazionali. Inoltre ci occupiamo di restauro sia conservativo che integrativo, spesso anche qui con richieste particolari.
Il nostro è un lavoro duro, appassionante e che può dare tantissima soddisfazione, proprio perché viene portato avanti nel solco della tradizione ma sempre con nuove sfide. Certo, facciamo anche lavorazioni più “banali” come i piani cottura, ma ciò che rende il lavoro interessante sono le sfide più difficili, quelle da affrontare con creatività.
Qual è stata la vostra sfida più impegnativa?
La scelta è ardua; ogni opera che consegniamo è sempre una nuova sfida. Una delle commissioni più impegnative che abbiamo realizzato è stata certamente la cappella di San Pietro Nolasco per la parrocchia di Santa Maria della Mercede, qui a Roma. Oltre a tutte le esigenze estetiche connesse alla creazione di un’opera d’arte abbiamo dovuto affrontare una vera sfida dal punto di vista statico. Per realizzare la cappella ci siamo rivolti infatti a tante altre figure professionali, dai colleghi scultori ad ingegneri e architetti. L’opera nel suo insieme sembra semplice, ma è il risultato di un lavoro estremamente complesso: su un fazzoletto di muro di pochi metri quadri gravano quasi trenta tonnellate di marmo! La realizzazione è stata possibile solo unendo le tecniche tradizionali, a cui siamo abituati, a soluzioni innovative per alleggerire l’opera senza impoverirla esteticamente.
Voi vi occupate anche di formazione. Come avete imparato il mestiere e come lo insegnate?
ARMANDO: La formazione è uno degli aspetti del lavoro a cui teniamo maggiormente. Noi abbiamo imparato il mestiere da piccoli, osservando nostro padre e nostro nonno: io dopo la scuola accompagnavo mio padre in giro per le cave, alle fiere, lo osservavo mentre lavorava in laboratorio. Lui ha avuto una grande capacità di farmi appassionare al suo lavoro. Invece da mio nonno “rubavo” il mestiere con gli occhi: i vecchi artigiani non spiegavano nulla, dicevano solo di stare vicino a loro e imitarli. Quando poi sbagliavi nei primi esperimenti, allora venivano ad aiutarti e a darti la spiegazione tecnica, ma era una parte minoritaria del lavoro. Ora la formazione si fa in modo diverso, attraverso le scuole, ed è in questo contesto che noi trasmettiamo gli insegnamenti ricevuti in bottega alle nuove generazioni.
RICCARDO: Ho insegnato per quattro anni nella scuola di Arti e Mestieri del comune di Roma. Ero docente di scultura su pietra e insegnavo agli studenti a lavorarla a partire dalle tecniche antiche, con scalpello e mazzuolo. Noi insegniamo ancora a scolpire partendo dal modo con cui noi stessi abbiamo imparato.
ARMANDO: Naturalmente ci sono un corso base, nel quale si impara a maneggiare gli strumenti, e poi un secondo e un terzo livello. Mediamente, per uscire dall’ambito hobbistico e affacciarsi alla professione, occorrono dai tre ai cinque anni. Poi è il lavoro quotidiano che dà l’esperienza. La nostra prossima sfida sarà la docenza nella scuola di Arti e Mestieri della Fabbrica di San Pietro, in Vaticano, che riaprirà quest’anno riprendendo una tradizione che da qualche tempo si era interrotta. Il nostro rapporto con il Vaticano è storico ed è il nostro fiore all’occhiello. Avremo studenti da tutto il mondo e non potremmo essere più entusiasti.
Che cosa vorreste per il futuro del vostro mestiere?
Vorremmo che il Made in Italy trovasse un appoggio maggiore da parte delle istituzioni. Le nostre esperienze all’estero ci hanno insegnato che ci sono pochi popoli geniali come il nostro. Gli stranieri amano il modo in cui creiamo: in qualsiasi parte del mondo, l’Italia è sempre un sinonimo di classe e bellezza. Dobbiamo continuare la tradizione dell’artigianato e dell’arte, quella per cui tutto il mondo viene da noi: è la nostra forza e non dobbiamo perderla. Dobbiamo essere orgogliosi di essere italiani e troppo spesso ce lo dimentichiamo.