Dal taglio del tronco al mobile finito al Laboratorio 1618 Roma

Articolo di Elisabetta Faraglia

Quel profumo di segatura che ricorda quel vecchio falegname di paese che riaggiustava tavole e sedie a tutti. Per alcuni è la scena di un film, per altri è realtà.  E poi c’è la vernice, quella che in tanti hanno usato per dare nuova vita al mobile della nonna.

Sono molteplici i particolari scovati nel Laboratorio 1618 che fanno tornare in altri luoghi e altri tempi. 

Eppur esiste: oggi, nel quartiere Tiburtino di Roma. Ed è una vera scoperta quella che si fa sul retro di ciò che sembra uno dei tanti negozi di mobili. Percorrendo via dei Durantini, al numero 147, possiamo specchiarci sulla porta a vetri che ha un design moderno. Poi salta all’occhio la minuscola scritta “falegnameria dal 1935”: lì nasce la curiosità di capire cosa c’è dietro quel vetro. Anche dopo aver varcato la soglia rimane il quesito: perché si possono ammirare i mobili in esposizione ma la segatura non c’è. In fondo, oltre uno scaffale che funge da parete, c’è l’ufficio dove si prendono accordi e dove nascono idee.

E la falegnameria?

Ciò che sfugge agli occhi di chi lì non vive, è un cancello poco distante dall’ingresso, oltre il quale tutto diventa chiaro come il legno che si lavora all’aperto quando il tempo lo consente. 

Un ampio cortile diventa spazio per scartavetrare, verniciare, e tante altre operose azioni che al Laboratorio 1618 si ripetono da quasi 90 anni. Due ingressi ci permettono di entrare nel laboratorio dove possiamo finalmente sentire quel profumo del legno lavorato: si parte dal tronco per arrivare al mobile finito. E dopo la scoperta degli spazi, c’è l’incontro con il cuore pulsante di questa attività: i falegnami che “sono una specie in via d’estinzione”. Lo dice Marco Salvatori che ha seguito le orme dei suoi avi portando avanti l’attività di famiglia nella duplice veste di architetto e falegname. Un binomio che lo rende unico perché ha la maestria di progettare anche cose più complesse grazie all’esperienza sul campo. E poi Marco è quello che dopo il lavoro non nega ai residenti del quartiere e di altri più lontani l’intervento alla cerniera dello sportello: perché non è solo una questione di vendita ma anche di cura e rispetto per chi negli anni ha scelto il suo lavoro. 

Storie che raccontano la magia del Made in Italy, con le video interviste disponibili su YouTube:


Bentrovato Marco, dalla data che leggo sulla porta c’è una lunga storia che accompagna il Laboratorio 1618. Partiamo da lì anche per capire la trasformazione del lavoro di falegnameria nel tempo…

La mia azienda nasce con il mio bisnonno Giuseppe che ha fondato la falegnameria nel 1935, poco prima della guerra. Da allora è stata tramandata: a mio nonno Paolo, a mio padre Roberto, con cui prende il via l’attuale società artigiana Laboratorio 1618, e poi a me. Nel tempo tante cose sono cambiate: il modo di fare i mobili e quindi il tipo di arredamento è stato in qualche modo stravolto, soprattutto con la produzione industriale. La nostra azienda non ha perso la sua identità rimanendo legata all’artigianato, all’arte piuttosto che alla fabbrica ossia alla standardizzazione del prodotto: tant’è che non abbiamo macchine computerizzate o a conto numerico.

Quindi tendiamo a fare mobili in legno per un tipo di arredamento molto più soggettivo e dedicato rispetto a quelli in serie. Rispetto ai miei avi, è naturale che anche qui ci sia stata una trasformazione del fare falegnameria. Innanzitutto a fronte di una società sempre più tecnologica, ho sentito l’esigenza di specializzarmi con una laurea in Architettura che mi ha dato maggiori strumenti e quindi maggiori benefici. Peraltro il periodo della laurea ha coinciso con un tipo di mercato sempre più legato ad Internet. Ho, infatti, aperto un sito che ci raccontasse. Così ho iniziato a fare progettazione al posto di architetti che spesso si pavoneggiavano presentandosi come tecnici dell’arredamento dimostrando poi il contrario. Come già divulgato dal movimento Arts and Crafts, penso anch’io che le persone imparino facendo e non soltanto progettando. Nel mio caso ho visto che sapendo già fare le cose – perché sono cresciuto in questo laboratorio – ero agevolato nella progettazione di lavori più complessi per i quali non sarebbe bastata l’invenzione di un architetto: sicuramente bella ma spesso non fattibile. Dunque, sintetizzando, oggi oltre alla manualità, utilizziamo anche la tecnologia che mi permette di realizzare progetti in 3D. Nel cuore rimaniamo sempre e solo artigiani.



Cosa progettate e realizzate?

Andiamo dalla progettazione fino alla realizzazione di arredamenti su misura in legno ma non solo. Quando, infatti, si tratta di lavorazioni più complesse trattiamo anche il ferro, gli imbottiti, i controsoffitti, i rivestimenti di pareti e i pavimenti contraddistinti da particolarità uniche. Quindi progettiamo e realizziamo tutto ciò che è arredo.

Un gran lavoro, in quanti siete e quali sono i ruoli?

Attualmente siamo in sette. Tempo fa eravamo di più perché la lavorazione del legno era differente e si guadagnava anche di più per cui ci si poteva permettere maggiore mano d’opera. La nostra lavorazione rimane per lo più manuale e non abbiamo macchine che ci permetterebbero di accelerare il lavoro ma che poi ci farebbero somigliare ad una fabbrica. Siamo in via d’estinzione perché la lavorazione manuale ha costi più elevati ma al contempo offre lavorazioni più singolari, mirate, soggettive. 

Un gran lavoro di squadra il vostro. Come siete organizzati: tra ruoli e fasi del lavoro?

Tra gli aspetti che differenziano la falegnameria di ieri da quella odierna: c’è la divisione dei compiti. Premesso che tutti sanno fare tutto, ho preferito dividere i diversi ruoli. C’è chi con me prende le misure e crea il progetto; ci sono i falegnami che partono dal tronco dell’albero o dalla tavola per poi realizzare un qualsiasi mobile o anche oggetto; c’è il laccatore che lo finisce; c’è un tutto fare che aiuta nelle diverse lavorazioni; ed infine tutti insieme, a giro, lo consegniamo e lo montiamo a casa del cliente.   Questo fa di noi un team affiatato: ognuno ha un suo specifico lavoro ma, ripeto, tutti sanno fare tutto. Scendendo su un piano più tecnico, posso riassumere le diverse fasi di lavorazione del legno in: produzione del semilavorato partendo dalla materia prima, lavorazione del semilavorato, finitura e assemblaggio.  Nel momento in cui realizziamo un mobile partendo dalla materia prima eseguiamo lavorazioni specifiche utilizzando diversi materiali, tra queste: il taglio del legno grezzo, la piallatura che assicura la livellatura di tutte le facce, la fresatura che permettere di sagomare la materia grezza, la levigatura che predispone i pori alla penetrazione della vernice, e la foratura per creare eventuali fori che serviranno al montaggi e all’assemblaggio dei prodotti finiti. Inoltre esistono le lavorazioni finali che sono facoltative perché in relazione al tipo di lavoro, tra queste: spazzolatura, rusticatura, lucidatura e finitura.

Un aspetto importante che ci contraddistingue dalla fabbrica, che spesso utilizza materiali scadenti, tipo truciolati o derivati del legno impastati anche con colle molto tossiche, è il valore che noi diamo ad ogni albero tagliato sostenendo la nascita di un nuovo albero. Infatti, le falegnamerie certificate - tutte Made in Italy - dalle quali mi rifornisco, per ogni albero abbattuto, con una parte della mia spesa, ne piantano due. Quindi l’acquisto di un nostro mobile permette la riforestazione italiana: lo posso dimostrare con una certificazione sulla quale ho deciso di investire a sostegno dell’ambiente. 

Parlando delle diverse fasi della lavorazione, qual è il momento più delicato?

Sulla base della mia lunga esperienza posso dire che è quella iniziale: quando il cliente cerca di spiegarmi ciò che vuole ed io devo saper ascoltare e interpretare le sue parole. Solitamente chi si rivolge al falegname non si accontenta, altrimenti avrebbe optato per la grande distribuzione e quindi per la metà del prezzo. Nel momento in cui arriva qui cerca qualcosa di particolare, singolare. È lì devo capire ciò che vuole per realizzare quel che ha in mente lei o lui e non quel che voglio fare io.



Quali tipologie di legno utilizzate?

Innanzitutto non utilizziamo materiali scadenti ma di media- alta qualità: da un multistrato per arrivare al legno massello. Parliamo di legni particolari che hanno un elevato costo anche in relazione al progetto legato alla riforestazione. 

La scelta del legno spetta al cliente. Dalla mia esperienza ho visto che i materiali sono sempre gli stessi. Parliamo di massimo sei tipi di legno: scelti anche in base alla moda del momento. Peraltro molti alberi sono di difficile lavorazione e quindi i prezzi sarebbero esorbitanti. Quindi le richieste cambiano nel tempo: c’è stato il periodo del rovere, del rovere nodi, del noce, dell’acero, del noce Tanganika, dell’abete o del castagno o infine della afrormosia che poi hanno abolito perché si è scoperta la sua tossicità al momento del taglio, del ciliegio, per arrivare ad oggi con il laccato che è un tipo di legno con una venatura a poro aperto. Inoltre, attualmente c’è una importante richiesta legata allo stile shabby e quindi al concetto di riuso: molti mobili, magari della nonna, vengono ridipinti o anche un po’ sverniciati per ottenere quell’effetto antico e al contempo moderno che sta molto bene nelle loft.

Dove possiamo trovarvi per avere una consulenza?

Siamo in via dei Durantini n° 147/149 nella zona est di Roma, dove abbiamo il laboratorio con lo show room. Poi siamo anche su Internet con il sito e le nostre pagine Facebook ed Instagram www. Laboratorio 1618.it. Sarebbe preferibile che le persone venissero qui per vedere anche come si lavora e come affrontiamo i nostri progetti. Basta chiamare al numero 349 8702562 per fissare un appuntamento o per avere maggiori informazioni. 

Progetti all’orizzonte?

La mia intenzione è quella di andare avanti con le persone che da sempre collaborano con me e, se possibile, ampliarmi: perché il lavoro è davvero tanto. Sembra assurdo dire che siamo in via d’estinzione a fronte di una crescente richiesta: eppure è così!

Quest’ultima constatazione è legata alla tipologia di lavoro specifico che si basa sull’esperienza: solo dopo tanti anni di fatica si diventa un falegname a 360 gradi.  Mio nonno lo diceva sempre ed oggi lo confermo: “non si finisce mai di imparare!”. 

Poi tra i progetti all’orizzonte, c’è quello di fare scuola. Un desiderio che nasce anche dalla cospicua richiesta delle persone che vorrebbero imparare questo mestiere: faticoso ma anche benefico. Lo paragono ad una Pet Therapy perché nel momento in cui riesci a creare qualcosa per una persona nasce una profonda soddisfazione. Il lavoro manuale è sempre rigenerativo: anche per questo organizzerò piccoli corsi a chi desidera imparare i diversi approcci alla lavorazione del legno.






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