Lavori Artigiani Romani, al centro di Roma dal 1938

Articolo di Elisabetta Faraglia

Strade e stradine dal sapore tutto romano portano all’antica bottega di Lavori Artigiani Romani. Siamo in via del Leoncino n° 29, tra via del Corso e Trinità dei Monti: al Rione Campo Marzio. 

Siamo avvolti dal profumo del caffè servito di fretta a chi si approssima a salire i gradini che conducono nel più alto ufficio. Siamo tra le gente che sempre numerosa attraversa la monumentale città capitolina: qui ancor più cospicua con i turisti alla ricerca di angoli che diverranno memoria fotografica

Si riconosce subito chi mai è stato al centro di Roma: ha la testa rivolta verso l’alto per sentire più vicine le altezze dei palazzi nobiliari seicenteschi studiati a scuola nell’ora di arte. E volgendo gli occhi fin lassù, vediamo una finestra che a differenza delle altre ha le persiane aperte. C’è una luce accesa: si scorgono due lampadari di cui uno sembra rovesciato. Non pare essere un ufficio.

Poi gli occhi si posano sulla sottostante porta d’ingresso: una vetrina attraversata dalle luci dei paralumi che nelle diverse dimensioni e colori compongono un quadro nel quale si può cogliere un filo che cuce passato, presente e futuro. Sulla porta una foto in bianco e nero che ritrae artigiani in cravatta nel loro fare e che preannuncia lo scenario che di lì a poco sarà scoperto nel Laboratorio della famiglia Gualdani. 

Un luogo d’altri tempi, ben diverso dal mondo più composto che lo circonda. Lì i cugini Antonello e Fabrizio hanno lasciato tutto intatto: ogni oggetto, attrezzo, tavolo, scaffale continua la storia iniziata sul finire degli anni Trenta. Anche i cugini Gualdani continuano a muovere le loro mani secondo gli insegnamenti tramandati dal nonno e poi dai rispettivi padri. Oggi i loro paralumi sono pezzi unici di gran pregio. Sono l’eccellenza italiana che ha fatto la storia e continua a farla con la forza di una creatività che sa stare al passo non solo d’altri ma anche di questi tempi.

Anche l’intervista si è abbandonata allo spirito artistico di Antonello e Fabrizio: nello scorrere delle domande non c’è stato un ordinato alternarsi, piuttosto un incontrarsi nello stesso quesito. Come se anche nel loro raccontarsi continuasse quello scambio e confronto nato tra le mura che li ha visti crescere: come artisti, come uomini.

Storie che raccontano la magia del Made in Italy, con le video interviste disponibili su YouTube:


Bentrovati ai microfoni di Italian Bees in questo scenario che ha la bellezza dei segni lasciati dallo scorrere del tempo. Siete nipoti e figli di grandi artigiani quindi custodi di una memoria che non può essere taciuta. Ripercorriamo le origini che ritroviamo nella foto che accoglie chi da voi entra…

  • Salve io sono Antonello
  • Io sono Fabrizio!

Antonello: Il Laboratorio nasce nel 1938 su iniziativa di nostro nonno Giulio Gualdani, che non abbiamo avuto la possibilità di conoscere, e suo fratello Ettore. Sono loro nella foto che risale al 1940 e che li ritrae in un momento di lavoro. Non ci sono fonti certe ma la leggenda racconta che all’inizio realizzavano astucci per gioielli e che poi per questioni ignote abbiano proseguito creando paralumi. Infatti sulla nostra visura camerale ancora leggiamo: “fabbricazione e manifattura di paralumi, astucci e lampade”.

Da quello che sappiamo è stata la prima bottega artigiana su questo tipo di settore. Poi c’è stata la guerra e solo dopo hanno ripreso il lavoro sempre al centro di Roma, per spostarsi nell’attuale sede nel 1960. Un mestiere che il nonno ha tramandato ai suoi figli, i nostri genitori: mio padre Renato, e zio Ezio, il papà di Fabrizio. All’epoca del nonno la gente cominciava sin da piccola a lavorare nelle botteghe sviluppando così una manualità che gli permetteva di fare tutto: avevano delle capacità molto più alte. Ma lo stesso discorso vale per i nostri padri che hanno appreso attraverso il contatto quotidiano con i maestri Gualdani.

Fabrizio: In realtà la cosa vale anche per noi! Certo non in tenera età: perché abbiamo studiato per avere la possibilità di fare altre scelte. Però ricordo bene che nel periodo estivo dovevamo venire in bottega non solo per spazzare per terra ma anche e soprattutto per rubare quei gesti e segreti che ci hanno dato la possibilità di essere quel che siamo. Peraltro i nostri padri, come già prima il nonno, sono morti a distanza di poco anni l’uno dall’altro e quando noi eravamo piuttosto giovani. Quindi tutto il tempo vissuto a contatto con loro, compresi i giorni assolati delle vacanze, sono stati preziosi.

Antonello: si, mi sembra di essere qui da cento anni! Come potete vedere non abbiamo cambiato niente: qui tutto parla di noi, dei clienti, degli amici, di storie che ci hanno nutrito.  Lo dico con una nota di nostalgia perché ho visto cambiamenti che non sono in linea con quanto appreso e con il nostro stile creativo.



Come è cambiato nel tempo il vostro mestiere artigiano?

Fabrizio: in passato si trovava un tipo di manifattura di più alto pregio che richiedeva un impegno notevole. Ma più si è andati avanti, più tutto si è semplificato con clienti e architetti – non tutti! – che chiedono lavori molto semplici e stilizzati. Quindi da un punto di vista lavorativo è tutto più semplice ma da un punto di vista estetico è tutto un po’ appiattito e asettico.

Antonello: Giusto asettico! Ricordo che negli anni della nostra giovinezza c’era molta più creatività: anche nella richiesta. Oggi l’applichiamo per le nostre creazioni però il flusso corrente non è propriamente così.

Fabrizio: di conseguenza si sono appiattiti anche gli altri ossia il terziario che fornisce i materiali: come bordi e stoffe. Alcuni sono anche spariti: basti pensare alle grandi e fornite mercerie che avevamo a pochi passi e che poi hanno chiuso. Quindi oggi la ricerca di un materiale particolare, per esempio la lamiera di ottone, diventa un terno a lotto!

Antonello: Un altro esempio è la pergamena: oggi i materiali proposti sono tutti plastificati. Una volta ce li facevano non solo cartacei o pergamenati ma anche su ordinazione: se chiedevo un punto di rosso, mi consegnavano quel punto di rosso. Adesso non più! La macchina organizzativa è davvero complicata: anche per le colle. Prima, infatti, c’era un’ampia scelta poi, con la norma comunitaria, è diventato sempre più difficile garantire il prodotto artigianale di livello che proponiamo noi.

Fabrizio: la trasformazione del mestiere è legata anche a quella sociale che ha portato a un certo distacco dalla vita che scorre sulla strada. 

Antonello: Prima gli artigiani con indosso il grembiule e i commercianti uscivano dalle botteghe e dai negozi per parlare nel bel mezzo della strada. Questo continuo incontro, dialogo, confronto garantiva anche la diffusione di un certo tipo di cultura artigiana.

Fabrizio: A proposito di cultura, ricordo con piacere i tempi in cui si lavorava con il cinema: i nostri hanno creato lampade per Visconti, per il film “Il Padrino”.

Antonello: Noi due abbiamo lavorato con il cast di Cliffhanger e di Ocean’s Twelve!

Fabrizio: Già. E poi c’è stato un bel da fare con il Teatro Sistina quando c’era ancora una particolare cura per l’arredo.

Antonello: Cura e buon gusto che la gente vedeva sul palco o in televisione e poi ricercava. Oggi, come già detto, si è appiattito tutto e lo spettatore o il lettore social pensa che sia bello ciò che gli viene proposto. Noi siamo rimasti ancorati al nostro bagaglio di esperienza per cui cerchiamo sempre di creare una cosa bella. E come la crei una cosa bella? Come facevano gli antichi romani: attraverso un’armonia dei contrasti e utilizzando i materiali che avevano a disposizione, quelli del territorio.

Ai cambiamenti sociali e culturali voi, con le vostre mani, avete risposto continuando una tradizione legata all’autentico Made in Italy…

Fabrizio: Si, per noi non è cambiato niente: usiamo sempre le stesse mani, gli stessi insegnamenti dei nostri genitori.

Antonello: in questo quadro di cambiamenti cerchiamo di mantenere e diffondere una cultura dell’artigianato che offra prodotti qualitativamente alti. I nostri clienti devono necessariamente apprezzare il lavoro fatto a mano e la manifattura duratura che, appunto, sono alla base della nostra cultura.

Fabrizio: Pur non essendo una cerchia ristretta, i nostri clienti si conoscono quasi tutti.

Cosa realizzate in particolare?

Antonello: La domanda che in tanti ci fanno è se abbiamo un catalogo dei nostri paralumi. Ovviamente rispondiamo che è impossibile averlo perché non produciamo un pezzo uguale all’altro altrimenti avremmo un elenco che arriverebbe fino al soffitto. Questa risposta da un lato è un limite ma dall’altro è sicuramente un pregio: perché ogni nostra creazione è un pezzo unico e il cliente porterà a casa un prodotto speciale che non troverà altrove. C’è da dire che i nostri avi, anche in relazione agli anni che vivevano, realizzavano paralumi più standardizzati: soprattutto di color bianco o avorio. Poi c’erano anche lavori dal design più particolare ma la richiesta era molto bassa. Oggi, come detto all’inizio, non facciamo prodotti uguali sotto tutti i punti di vista: forma, colore, materiale. Le nostre lavorazioni così come gli strumenti appartengono alla tradizione e seguiamo quel senso del buon gusto senza rinunciare ad uno stile più moderno in un continuo gioco creativo delle parti. In alcuni casi – ma questo è accaduto anche con lavori eseguiti dai nostri genitori – abbiamo anticipato linee divenute moda negli anni a seguire.  

Quali sono le tecniche che contraddistinguono il vostro lavoro?

Fabrizio: In realtà non ci sono tecniche base perché si procede un po’ attraverso l’istinto, la fantasia e dalla richiesta del cliente che spesso viene da noi con una foto o un disegno e da lì partiamo. Una volta eseguito il disegno, procediamo a creare sia il telaio con la saldatura dei diversi materiali sia l’impianto elettrico. Parallelamente si lavora – taglio e cucito - con la stoffa selezionata che verrà incollata al telaio.

I nostri lavori sono tutti diversi dagli altri quindi non c’è uno standard di approccio e la tecnica di base rimane sempre un po’ all’impronta. E’ chiaro che il tipo di lavorazione rimane quella che ci hanno trasmesso: adattata a nuovi gusti e materiali.

Che tipo di materiali usate?

Fabrizio: utilizziamo sia i materiali che ci portano i clienti sia quelli che abbiamo in laboratorio. Quindi si parte dalla stoffa che è il materiale più usato perché richiesto da gran parte dei clienti, per arrivare alle pergamene, ai cartoncini, e anche alle pelli.

Antonello: ultimamente è cresciuta la richiesta della paglia!

Fabrizio: Si, anche materiali naturali come la paglia e la fibra di cocco: queste cose un po’ materiche come si usa dire oggi!

Antonello: In una vecchia foto si vede nostro nonno mentre lavorava la pelle. All’epoca non esistevano plastiche per cui il paralume si realizzava in pergamena con la pelle vera che poi veniva cucita. Anche noi facciamo questo tipo di lavori sebbene i materiali si siano diversificati.

Quali sono i vostri quotidiani arnesi di lavoro?

Fabrizio: come si può vedere dai diversi filmati: di strumentazione vera e propria ce n’è poca. A parte il saldatore e i trapani, la maggior parte del lavoro è legato alle mani e all’intelletto.

Antonello: alla creatività!

Fabrizio: soprattutto la creatività. Abbiamo poi qualche strumento antico che conserviamo e ancora utilizziamo: come la stecca d’osso o anche quegli arnesi di ferro che servono a schiacciare e tenere sotto peso tutti i materiali.

Fabrizio (che volge lo sguardo verso il muro sul quale sono appese diverse forme concentriche): Questi sono modelli di misure di paralumi che mettiamo da parte: alcuni si trascinano da decenni!

Il vostro lavoro poggia sulla creatività: ma quanto poi dipende dalla richiesta del cliente?

Fabrizio: Dipende dal cliente. C’è chi chiede consiglio e si apre a diverse soluzioni; e chi ha le idee chiare e non desidera altre opzioni. Nel primo caso cerchiamo di capire il suo spirito e gli diamo una mano senza imposizioni: perché deve sentirsi libero di scegliere.

Antonello: Nel secondo caso diventiamo degli esecutori e tutto è più semplice. Preferiamo senz’altro il primo soprattutto perché oggi la moda – che poi è ciò che il cliente segue e chiede – non è più così ricca di creatività: spesso per via del web si copia tanto e come detto all’inizio si vede un certo appiattimento del gusto.

Fabrizio: E poi ci sono i nostri personali lavori dove possiamo far emergere la nostra visione di gusto: del buon gusto.

Organizzate corsi o laboratori?

Fabrizio: No. Ci è stato richiesto da diversi Enti, anche universitari, ma non ne abbiamo mai avuto la possibilità: perché siamo pochi e sempre occupati. 

Antonello: Peraltro il nostro pensiero è che possiamo di certo insegnare a disegnare un paralume e ad eseguire le diverse tecniche ma il mestiere rimane un’altra cosa. Il primo anno che ho lavorato qui: facevo le commissioni e spazzavo per terra. Fabrizio per anni ha messo solo spine e interruttori. Questo per dire che il mestiere lo impari guardando, rubando con gli occhi l’arte dei più anziani: non un breve periodo ma negli anni. Aggiungo: lo impari anche stando a contatto con i clienti e tra questi ricordo gli straordinari e sempre più rari architetti di un tempo: contraddistinti da grande cultura e apertura al confronto.



Ci sono progetti futuri?

Fabrizio: Già essere qui è un grosso risultato…

Antonello: … rispetto a quello che abbiamo visto negli anni: con tanti artigiani del circondario che hanno chiuso perché non hanno retto a tutto quello che oggi viene richiesto per rimanere su piazza: per esempio le novità fiscali.

Fabrizio: I progetti è difficile farli a fronte di anni scanditi da crisi economiche, guerre, Covid!

Antonello: Non siamo pessimisti, al contrario noi ci scherziamo sempre! Però è vero che rispetto ai nostri e più lontani predecessori, noi ci siamo presi tutto: tangentopoli, la tassa sull’Europa, l’entrata dell’euro, la crisi del 2009, il terremoto, la guerra, il Covid. Tirando le somme abbiamo vissuto tutto quello che poteva essere un ostacolo alla nostra crescita, quindi condivido e confermo quanto detto da mio cugino: “Già essere qui è un grosso risultato!”.

Grazie agli artigiani Antonello e Fabrizio che con onestà intellettuale hanno spiegato uno spaccato non sempre felice della storia dell’artigianato italiano. Grazie perché emerge ancor più la forza e la tenacia della vostra passione non solo a sopravvivere alle crisi ma a vivere per ciò che si è: nell’arte dell’espressione, della creazione, nell’arte dei più rari e pregiati attimi di felicità.









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