La lavorazione del ferro in Italia, grazie alle mani esperte degli artigiani, è un affascinante connubio di tradizione e sperimentazione. Spello, città umbra d'arte e cultura, ospita L’Officina di Luca Peppoloni, dove la qualità della lavorazione del ferro si distingue per la forte connessione con i luoghi e la loro storia. Luca impersona il dialogo tra passato, presente e territorio: figlio d'arte, ha ereditato una passione che si intreccia con l'identità culturale umbra. L’Officina, fondata nel 1992, è un mondo di opere che raccontano un’identità, non semplici oggetti d'uso, ma un luogo dove riconoscersi.
Storie che raccontano la magia del Made in Italy, con le video interviste disponibili su YouTube:
Luca da dove nasce la tua vocazione per questo lavoro e come nasce l’Officina?
Come ti dicevo, sono figlio d'arte, mio padre e suo padre lavoravano il ferro e questo è uno degli aspetti che mi ha portato qua. L'altro è il territorio con il quale ho sempre sentito un forte attaccamento: vivere in Umbria, abitare a Spello, una città d'arte da sempre, vicina al Festival di Spoleto, fucina di talenti e luogo di ritrovo di artisti, in qualche modo, ha influenzato molti di noi… in adolescenza volevamo essere tutti artisti! Persone che facevano arte sceglievano Spello come laboratorio, si respirava quella dimensione e sono stati anni molto belli. Sono titolare di questa piccola azienda dal 1992, ho iniziato rivisitando un po’ il lavoro di mio padre fino al terremoto del ‘97 che da grande disgrazia si è trasformato in una grande opportunità: ho riscoperto l'importanza di un lavoro tradizionale come quello della mia famiglia. Quando la Regione è ripartita avevamo fatto tante cose belle e necessarie per tornare alla vita di prima. Terminata la ricostruzione ho ripreso il mio percorso artistico che deve molto allo stile etrusco, rinsaldato anche con lo studio di Giacometti: non si finisce mai di riscoprire la nostra storia e il nostro passato!
Raccontami della ruggine…
La mia ricerca parte dalla ruggine. Mi sono reso conto che i pezzi di ferro arrugginiti, vecchi, trovati in officina, erano affascinanti e così mi sono collegato, come ricerca artistica e come figura stilistica, agli etruschi, creando forme che sembrano un po’ reperti archeologici. Le trovo, in un certo senso, primitive e il primitivismo mi ha sempre affascinato. Queste ossidazioni, l’effetto “archeologico”, richiede maestria e tempo: ci vogliono mesi, per avere una ruggine stabile, paragonabile a un vero reperto. E osservando e toccando l’oggetto si capisce che non si tratta di ruggine fatta velocemente con gli acidi: è un processo completamente naturale che rende il prodotto finito molto più vero.
A un certo punto arrivano le maschere
Nel mezzo del mio momento di ricerca legato alla ruggine mi è venuto in mente di fare delle maschere primitive che però ho voluto contestualizzare al tempo moderno. Ho pensato che l'equivalente delle maschere dei popoli primigeni, oggi, potessero essere i supereroi della nostra infanzia. Pur con un soggetto “moderno” quelle realizzate in ferro arrugginito assumono sembianze primitive. Ho poi realizzato anche delle interpretazioni più pop, colorante, con questa tecnica screpolante, molto interessante, che abbiamo messo a punto e che è un altro linguaggio oltre la ruggine: se la ruggine è la memoria del ferro, dove io mi ritrovo con la mia memoria, il cretto, che richiama un po’ anche Burri, è un altro modo di far parlare il ferro, dare profondità e spessore a queste superfici. Grazie a queste figure e a tutta una serie di cose fatte negli anni e grazie a CNA Umbria, sono Presidente Nazionale della Lavorazione Artistica del Ferro. L'anno scorso, come Presidenza nazionale, abbiamo realizzato un regalo per il Presidente del Consiglio: sapendo della sua collezione abbiamo realizzato un angelo, lavorato con questa stessa tecnica, ed è stata una bellissima soddisfazione vederla apparire in video con in mano l’angelo che avevamo realizzato per lei.
E oltre a maschere e angeli? C’è un’opera “più apprezzata”? Secondo te perché?
Con il mio collaboratore realizziamo anche oggetti d'uso impiegando, a volte, i colori usati per le sculture anche per le superfici di tavoli, sedie, panche, che così diventano esse stesse oggetto d'arte. Poi ci sono i manufatti prettamente artistici; lavoriamo molto per l'arredamento di interni e di esterni, istallando sculture su giardini e ville. In questo periodo stiamo realizzando anche alcune opere pubbliche che ci offrono gli spazi ideali per inserire alcuni pezzi importanti. Oltre agli elementi di arredo la mia opera più apprezzata è sicuramente la figura etrusca perché la gente ci riconosce il marchio del territorio oltre all’impronta storica e credo di poter dare il merito a questo ciclo di lavoro che ho messo a punto, che restituisce oggetti così affini a reperti reali: la gente li apprezza perché li trova veri, realmente un qualcosa di identitario.
Il tuo lavoro è cambiato in tutti questi anni?
Direi di no, quello che è cambiato è il modo di raccontarlo. Oggi non puoi prescindere dallo storytelling, dal raccontare un’identità, se ce l'hai. La comunicazione è fondamentale per noi artigiani che creiamo con le nostre mani e realizziamo oggetti che hanno una personalità, dobbiamo essere bravi a raccontarlo. È importante che la gente veda come viene realizzato un oggetto, anche, semmai, attraverso i social. Rendersi conto dell’artigianalità di un manufatto è sempre più importante perché ormai è un’eccezione: si tende a pensare che le cose nascano solo dalle macchine oppure siano prodotti di importazione e invece non è così, c'è un artigiano che le fa con le sue mani. Anche come Presidenza dell'Artigianato Artistico ci teniamo a sottolineare questo aspetto: l'Italia è fatta da queste realtà portatrici di valori incalcolabili che hanno bisogno di leggi specifiche che le tutelino, non possono essere paragonate a un'azienda strutturata, sono realtà delicatissime, una razza in via di estinzione.
Luca, esprimi un desiderio e raccontamelo
Io penso che un lavoro, che sia artigianale o una creazione artistica, necessiti di qualcuno che ci si rispecchi, per cui il mio desiderio è di essere capito e che le persone si riconoscano nelle cose che faccio. Perché un'opera d'arte, ma anche un oggetto d'arredo, ha bisogno di qualcuno che guardandolo dica “Quello sono io, c’è qualcosa di me lì”. È riconoscere la propria identità, la propria sensibilità, finanche riscoprire se stessi, perché credo che le cose che hanno veramente un valore siano quelle vere, quelle in cui ci si può riconoscere.
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