Ancor prima di attraversare il cancello principale, scorgiamo i cangianti colori di un mosaico in terracotta che trasmettono la leggerezza di una foglia al vento, la stessa che ritroviamo nelle più diverse tonalità tra le forme realizzate dalle sapienti mani della maestra Eleonora Colletti. Un capolavoro che continua lungo il muro che costeggia il vialetto che conduce al laboratorio di Terrecotte Sabine: come un antipasto di ciò che sarà gustato nel mezzo di un convivio. E poi in questa narrazione c’è anche il sole e la sua assenza: in ciò che si riflette o non riflette sugli smalti lucenti e sui piccoli pezzi irregolari di vetro. Anche sotto la pioggia nasce un’atmosfera che culmina con il maestoso e ben scolpito albero che sembra essere la celebrazione simbolica della vita che tutt’intorno respira. Già solo da questo nasce la curiosità di bussare alla porta per vedere chi e cosa c’è. Senz’altro l’artista che ha iniziato presto a modellare l’argilla, l’artista che ha insegnato matematica e fisica, l’artista che continua a studiare, a incontrare, scambiare, trasmettere.
Eleonora ha il dono della semplicità: quella raggiunta spogliandosi di ogni vano eccesso. Sa muoversi con rigore logico-matematico, ma sempre nutrita da sentimenti potenti che diventano espressione. Sentimenti legati al suo essere mamma di quattro figli, nonna di tre bambini, a suo marito Luigi, alla cognata Dina che scende a trovarla, agli amici che sente, che vede anche solo per mangiare insieme. Le piacciono i sapori semplici e ama cucinare: forse per questo quando crea un qualsiasi utensile deve funzionare bene.
Sempre utile la conoscenza della matematica per il gioco delle proporzioni delle parti. Lo si vede nella forma che più ama e ritorna nelle sue opere: il cavallo. Ma non ci sono solo numeri mentre crea una criniera: qui c’è anche il suo papà. Il ricordo mai sopito di un padre che ha lasciato un segno: Zefferino Colletti che con le braccia ha coltivato terra e cresciuto cavalli, e con le parole ha seminato poesia.
“Mo che c’è libertà ‘n te pare gnente d’esprime li penzieri apertamente? ... Sarà… - feci – ma è mejo confidalli sottovoce, sortanto a li cavalli” si legge sul libro di poesie “Penzieri in rima de ‘n omo de cOrtura” del papà Zefferino. Eleonora lo tiene tra le cose più care, dentro il laboratorio nato grazie alla fiducia di chi l’ha tanto amata: anche mamma Rita e il maestro Alvaro.
Sul quel tavolo gira ancora scolorito il torniello che il poeta sabino le regalò. Eleonora la poesia non la scrive, la modella, la colora. E quei cavalli, confidenti amici paterni, tornano tra le mani di una figlia che sa “contare” sulla cara memoria che vibra tra l’argilla che pian piano prende forma.
Seduta sul suo sgabello, circondata dai suoi amici a quattro zampe, Eleonora si racconta con l’argilla in mano per far meglio capire dei passaggi che andrebbero osservati: perché l’arte ha bisogno di contatto.
Storie che raccontano la magia del Made in Italy, con le video interviste disponibili su YouTube:
Ciao Eleonora, ancor prima di entrare nel tuo studio nasce la curiosità di capire da dove parti per essere arrivata fin qui…
Quando ero bambina avevo la passione di modellare qualunque cosa: dalle orecchie di chi mi prendeva in braccio alla mollica del pane, o alla sabbia. Così mi diceva mia mamma. A 10 anni ho incontrato per puro caso, attraverso un mio zio, il mio maestro di ceramica: Alvaro Ciancamerla. Lì è nata la passione. Questo maestro era già anziano, una persona che trasmetteva tanta sicurezza e serenità. Ricordo ancora quei giorni nei quali perseveravo nel chiedere ai miei genitori – mettendoli quotidianamente in croce – di portarmi alla scuola di ceramica a Roma. Noi vivevamo qui, in Sabina. Io avevo iniziato da poco a frequentare la prima media. Dunque alla fine papà accettò di accompagnarmi due volte al mese, sempre di venerdì alternati, per tre-quattro ore al corso di ceramica. Poi il mio papà mi regalò la mia prima torniella, che all’epoca era ancora verde, per poter lavorare anche da casa. Ho sempre continuato a seguire il suo studio e con lui ho imparato tutte le tecniche di base: dal colombino, al tornio, alla maiolica, agli ingobbi, ma anche l’immersione sulle materie prime, la composizione dell’argilla e degli smalti. Era un professore molto preparato. Nel 1980, dopo aver fatto la mia prima mostra, che andò abbastanza bene, mi sono comprata il forno: da allora ho il mio laboratorio qui a Torri in Sabina. Il mio maestro è morto quando avevo 27 anni ma ha continuato a vivere nel mio cuore: è stato il mio secondo papà. Ai tempi dell’università, passavo quasi ogni giorno da lui e quando mi vedeva diceva: “Eccola la clandestina”. Perché il mio turno era il venerdì ma andavo lo stesso! All’università ho studiato matematica perché mi piaceva tanto così come la ceramica. Quindi decisi che nella mia vita avrei portato avanti entrambe le passioni. Ho studiato tanto e con la ceramica continuo a farlo perché ci sono tante tecniche nuove: non si finisce veramente mai di imparare. Per esempio adesso sto approfondendo la chimica degli smalti: argomento che non avevo affrontato prima. Erroneamente pensavo che non serviva reinventarmi l’acqua calda perché c’erano già le industrie ceramiche specializzate nella realizzazione degli smalti: quindi li compravo e li utilizzavo in funzione del mio progetto. Invece la creazione di uno smalto è stata una nuova rinascita per me. Una vera scoperta perché devi entrare nella logica della chimica dello smalto, intuire come interagiscono le materie prime e creare delle nuove composizioni che sono uniche anche utilizzando materiali che abbiamo. Io, per esempio, che riscaldo la mia casa solo con la legna ossia con le potature dei nostri olivi, posso riutilizzare la cenere per fare gli smalti. Non si spreca niente.
Cosa troviamo all’interno di Terrecotte Sabine?
Troviamo tanti oggetti e quasi tutti hanno una funzione d’uso. Principalmente lampade: perché l’effetto che la luce dà ad un oggetto tridimensionale è bellissimo.
Mentre realizzo un progetto mi piace pensare a come la luce lo andrà ad attraversare, a investire: quindi vado a lavorare su una certa profondità o anche semplicemente sulla superficie in modo tale che il rimbalzo della luce con lo smalto faccia dei giochi particolari.
Come dicevo troviamo oggetti d’uso: non solo lampade ma anche vasi, portavasi, scacchi, grandi portaombrelli, a seconda di quello che mi va. Creo anche tante scatole di cui il coperchio rimane sempre un po’ nascosto. Mi piace fare stoviglie o cose che servono tutti giorni e che devono funzionare perfettamente: se realizzo una teiera deve versare bene altrimenti la rompo. Ogni tanto mia cognata, che mi conosce bene, scende per vedere quello che scarto o che non mi piace. Tra i lavori utili e su misura del cliente annovero anche i rivestimenti per camini o per il retro dei lavandini, e cappe in grès per le stufe: resistenti agli shock termici.
Non troviamo invece dentro il laboratorio gli orologi solari perché sono tutti fuori così come le fontane.
Come nasce l’idea di creare orologi solari?
Dalla mia curiosità di capire come funzionassero. Come penso capiti un po’ a tutti quando guardano un orologio solare e non capiscono cosa voglia indicare: infatti anziché indicare l’ora che leggiamo su un orologio normale, ne indicano un’altra. A quel punto si pensa che l’orologio non funzioni, e invece non è così: perché questi orologi solari indicano sistemi orari di un altro periodo nei quali le ore erano diverse da quelle del nostro sistema che è un retaggio di quello francese.
Quindi la curiosità nacque ai tempi dell’università a Roma: alla Sapienza e nella città ci sono tante meridiane. E ogni volta che i miei occhi le guardavano mi chiedevo: ‘Come funzionano? ’
Studiando matematica, speravo di trovare un corso che potesse aiutarmi a capire la gnomonica: non c’era nulla. Quindi ho preferito laurearmi nell’indirizzo generale per poi comprarmi i testi dei vari trattati di questa scienza e ricominciare a studiare da capo: e finalmente ho capito come si leggono le meridiane, cosa ci vogliono dire, quale storia c’è dietro. E’ stata una vera passione: poi culminata nella realizzazione di orologi solari che funzionino per le pareti dove sono state studiate. Nella creazione di un orologio solare c’è tutto: una sintesi della storia, la parte artistica, quella tecnica e ovviamente l’abbinamento dell’orologio all’abitazione. Spesso la cosa a cui bisogna stare attenti è quella di non fare un pugno nell’occhio: su una casa antica, per esempio, non possiamo metterci una cosa modernissima. Bisogna rifletterci bene. Dopo 30 anni, lo so bene.
Che tipo di materiali utilizzi?
Fondamentalmente argilla. Ovviamente esistono tanti tipi diversi di argilla: quella da fiamma, per esterno, il grès, la porcellana e altre. Nel corso degli anni ho provato molteplici tecniche e ciascuna vuole la sua argilla: quindi siamo in un mondo complesso.
Nel mio laboratorio la scelta del materiale è sempre in funzione del progetto che voglio realizzare: se devo costruire una pentola per il fuoco andrò ad utilizzare un’argilla da fiamma o del grès specifico per andare sulla fiamma viva. La peculiarità del mio laboratorio è proprio quella di voler realizzare uno specifico progetto. Difficilmente inizio una cosa senza sapere cosa voglio fare: praticamente mai. Un processo nel quale distinguo sempre due momenti: quello creativo nel quale penso solo a cosa vorrei realizzare e quello più tecnico-pratico nel quale vado a scegliere il materiale che mi aiuti a realizzare quello specifico progetto.
Questa è un impostazione della mia scuola di ceramica che ho seguito per 16 anni così come tanti altri corsi monotematici di perfezionamento. Le porto sempre con me le parole del maestro Ciancamerla: “Ti è venuto o lo hai fatto?”.
Un quesito che apre le porte a una consapevolezza completamente diversa.
Come già ho detto per ciascuna tecnica, c’è un tipo di argilla ma anche un diverso processo di cottura: un esempio è il Raku per il quale tutti pensano che è una tecnica i cui risultati sono legati esclusivamente al fuoco. In realtà è una tecnica molto difficile perché ci sono tante variabili: però se le conosci bene puoi ottenere un effetto molto vicino a quello che vuoi. Poi è vero che l’effetto non sarà proprio lo stesso se andremo ad utilizzare una segatura di pino, o quella di un altro legno, a pezzi più grossi o più piccoli.
Però se voglio un effetto di ossidazione lo posso ottenere così come per una riduzione. Sono, inoltre abituata a utilizzare i materiali solo dopo aver fatto test: come per questo smalto che ho composto io, ho fatto molteplici test prima di ottenere l’effetto desiderato e adesso so quello che verrà fuori. Aggiungo, ad onor del vero, che esistono le debite variati che possono dipendere dall’interazione con un oggetto che gli sta vicino o dall’ambiente più ossidante o riducente che dipende anche da come è organizzata la struttura del singolo forno.
Le hai menzionate più volte, approfondiamo il discorso sulle tecniche…
Uso il colombino quando devo realizzare tutto ciò che non ha una simmetria cilindrica. Poi naturalmente il tornio per stoviglie, vasi, piatti ed tanto altro, ma posso comunque intervenire con tagli e modifiche perché magari la forma diventa più interessante. Uso il tornio anche per le sculture: per esempio ho fatto delle lampade a forma di donna quindi ho iniziato con una forma antropomorfa realizzata velocemente al tornio e poi su quella ho operato le modifiche: con lo scavo, aggiunta di testa e braccia. Mi piace scomporre la figura in diverse parti ciascuna delle quali può essere realizzata al tornio: è un modo per velocizzare il lavoro ed è anche interessante da un punto di vista geometrico. Così creo anche le giraffe: parto con un cono che viene piegato quando è ancora morbido e una testa che inizialmente è una pera che si può chiudere al tornio. Prima di lavorare devo conoscere bene le proporzioni: le studio sulla carte, le segno e poi preparo i singoli pezzi che man mano prendono forma. Con questa tecnica ho realizzato dei pagliacci, dei reggilibro che non sembrano essere il frutto di un lavoro con il tornio. Anche questo me lo ha insegnato il mio maestro. Lui spesso scolpiva volti di donna partendo da una struttura fatta al tornio e, appena induriva un po’, cominciava a lavorarla: era molto bravo. Io ho ripreso la sua tecnica e ci faccio le cose che mi interessano.
Altra tecnica utilizzata è quella della lastra: in tal caso bisogna conoscere molto bene i momenti giusti per attaccare due pezzi di una lastra. Così si possono costruire grandi vasi con una perfezione assoluta nella geometria della forma e anche in funzione del forno.
E poi c’è il colombino: forse tra tutte è la tecnica che prediligo perché è quella che veramente ti fa realizzare qualunque cosa! Oggetti grandi e piccoli. Al colombino faccio anche le statue: sculture che realizzo direttamente cave.
Non vado a lavorare sul pieno come tanti ceramisti: perché se l’oggetto è molto grande è praticamente impossibile fare un lavoro fatto bene e poi, potendo arrivare a pesare oltre 100 chili, sarebbe difficile spostarlo.
Invece le mie opere sono già tutte vuote. L’essenziale quando si costruisce è sapere dove scarica il peso della parte superiore per poter aggiungere internamente delle colonnine dello stesso materiale in modo tale che ritirino tutti allo stesso modo. Poi le colonnine possono essere anche rimosse.
Il colombino è la strisciolina d’argilla che generalmente i ceramisti realizzano su un piano: invece il mio maestro mi ha insegnato ad utilizzare le mani come se fosse una trafila. Quindi diventa davvero molto comodo e non si asciuga.
Poi questi colombini vengono attaccati in modo molto semplice: è una tecnica straordinaria perché non c’è mai la necessità di tornare indietro nel lavoro per cambiare forma. Infatti, essendo messi all’interno della superficie laterale del pezzo, sono perfettamente attaccati e per modificare la forma basta cambiare la posizione del dito che attacca il colombino. Così si può passare da un concavo a un convesso senza fare praticamente niente e con grande praticità si può realizzare qualunque forma.
Una grande esperienza e conoscenza che sempre si rinnova ma che soprattutto si avvale dei segreti del grande maestro…. Organizzi dei corsi per trasferire le tue straordinarie competenze?
Si, ho iniziato presto a farli: avevo 19 anni. A quel tempo una signora molto ricca che abitava qui vicino mi chiese di farle delle lezioni. In un primo momento le dissi che non ero insegnante di ceramica. Lei mi rispose: “Se queste cose le fai tu, vuol dire che la sai lavorare la ceramica”. Poi chiesi al mio maestro un parere e mi rispose: “Perché no?”.
E così iniziai: lei mi pagava ed io mi ci pagavo gli studi. I miei familiari erano agricoltori e per me era importante non essere di peso. Peraltro la scuola di ceramica costava tanto: sia la lezione con il maestro che era affermato sia le cotture dei pezzi. Quindi la scuola è nata da sola. Oggi ho poche persone: perché non ho né gli spazi per un numero elevato né il tempo perché lo voglio dedicare soprattutto alla realizzazione dei miei progetti. Tengo dei corsi per alcuni amici ai quali dedico due pomeriggi e una mattina: molti di loro sono stranieri che vivono in Sabina.
Poi organizzo dei corsi monotematici su richiesta oppure li inserisco in un calendario semestrale. Perché tante persone, anche ceramisti di Roma, mi chiedono determinate tecniche che a Roma non si possono fare: come il Raku, la cottura nel forno a legna, la costruzione degli smalti o la lavorazione della paper clay in porcellana. Così dedico un week end a questi corsi monotematici e semplicemente li comunico sulla pagina Facebook.
Un corso particolare che organizzo da oltre dieci anni è quello sulla costruzione degli orologi solari: si chiama “Sotto il sole della Sabina”. Così le persone possono imparare a disegnare il proprio orologio solare. La limitazione è che si può fare senza usare la matematica ma soltanto su orologi verticali o orizzontali. Il suo stesso nome indica che si può fare in una bella giornata perché bisogna individuare il meridiano del luogo usando il sole: con la proiezione dell’ombra. Quando l’allievo va via porta con sé la sua dispensa, il suo orologio che ha costruito su un pezzo di legno orientato in modo casuale e anche la capacità di ripetere lo stesso procedimento per disegnare da solo l’orologio solare sulla propria parete di casa. Che io sappia non esiste un corso uguale in tutta Italia: l’ho cercato tanto perché volevo partecipare e così vedere un altro tipo di approccio. Voglio precisare che le meridiane sono tutte calcolate con un metodo matematico però si può prendere questa scorciatoia ossia questa semplificazione geometrica: l’importante è avere una parete verticale esposta a mezzogiorno e illuminata dal sole. Non è importante che sia esattamente a sud, l’essenziale è che alle 12 or solare ci sia il sole per applicare questo metodo semplificato.
Un progetto all’orizzonte?
Adesso che sono andata in pensione, libera da vincoli burocratici legati al contratto della scuola, sto pensando di realizzare in questo laboratorio uno studio per incontrare ceramisti provenienti da tutto il mondo. Già negli anni precedenti avevo partecipato ad alcuni scambi: e adesso mi piacerebbe fare proprio qui un centro nel quale ciascun maestro possa venire e condividere con me e con le persone interessate le sue conoscenze.
E viceversa. Anche io poi andrei nel suo come ho già fatto con il laboratorio Best Street Studios, in Australia: sono stata un mese da loro e poi ho ospitato la ceramista. E’ stata un’esperienza bellissima, realizzata nel 2009 ma poi avendo impegni con la scuola, non sono riuscita a organizzarmi in altri periodi. Oggi potrei anche utilizzare la mia casa come un B&B perché con quattro figli abbiamo ben cinque camere da letto: ormai vuote perché sono tutti fuori. Pensavo di organizzare soprattutto in estate questi meeting con i ceramisti per poter imparare ed insegnare allo stesso tempo. Non si finisce davvero mai di imparare: perché ognuno ha la sua tecnica del cuore, il suo modo di lavorare. Penso che sarebbe una cosa bellissima: e infatti sono già all’opera!
Poi qui nel Lazio ci sono sole tre forni a legna come il mio e anche questo è un motivo di incontro. L’ho già sperimentato: l’ho chiamata la festa del fuoco perché bisogna lavorare più di 12 ore consecutive per alimentare il fuoco ed è un momento bellissimo da condividere con altri ceramisti. In sostanza: io metto a disposizione legna e forno, le persone vengono e ricambiano con l’aiuto nella gestione del forno: da sola non ce la farei mentre insieme si crea una bella condivisione.
Ecco, se dovessimo riassumere tutto il progetto futuro è una condivisione con ceramisti italiani e di altre nazionalità: occasione preziosa per tenermi attiva con l’inglese e il francese che altrimenti si arrugginiscono. Di certo l’arte rimane l’unica lingua universale che non arrugginisce mai.
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