Giorgia Cicatello, quando la conoscenza ispira il design
Articolo di Francesco Fravolini

Giorgia Cicatello, stilista romana, crede nel made in Italy dando vita al suo brand omonimo. La stilista trascorre diversi anni tra il cinema e il teatro come costumista, senza tralasciare le sartorie di sposa e cerimonia dove impara le tecniche della sartoria italiana. A piccoli passi comincia a sviluppare un brand innovativo e sostenibile, che racchiude l’esclusività del pezzo unico. La sua formazione artistica non convenzionale e poliedrica si trasforma nella chiave del successo di Giorgia Cicatello. Il suo percorso lavorativo nel mondo artistico, nella scenografia e nel costume teatrale approda nell’alta sartoria. Ed è proprio in questo momento che si innamora del made in Italy, dell’accuratezza e delle qualità nascoste dentro quei capi. Da questi suoi aspetti, spinta dalla curiosità e dalla sete di conoscenza, la giovane stilista raggiunge in breve tempo numerosi obiettivi e riconoscimenti. Viaggia sin da giovanissima tra Parigi e Berlino per ampliare le sue vedute e per raccogliere esperienze di vita. Questa sua maturità la trasferisce nel suo brand dove racconta quanto siano importanti la conoscenza e il sapere per renderci liberi di essere ciò che vogliamo.


Giorgia, come inizia la tua passione nella moda?

«La mia passione per la moda nasce in maniera un po’ insolita. Il mio approccio inizia nel mondo dell’arte. Subito dopo comincio i miei studi in una scuola d’arte dove conseguo un diploma artistico. Appena finiti gli studi ho voluto conoscere il mondo della scenografia e del costume per vedere le diverse sfaccettature dello spettacolo. Solo in un secondo momento decido di approdare nel mondo della moda con un bagaglio culturale sicuramente più ampio».  

A cosa si ispira lo stile creativo degli abiti disegnati?

«Il mio stile creativo si plasma mediante l’ispirazione che arriva direttamente dalle persone. Mi definisco una ragazza socievole e quando sono con le persone adoro condividere le loro storie. Appena la gente mi racconta piccoli racconti sono coinvolta lentamente nella loro storia. Ed è proprio per questo motivo che, nel momento in cui disegno, gli abiti rispecchiano inevitabilmente il vissuto di una persona, magari soltanto prendendo spunto da un breve racconto che però identifica un suo preciso momento storico. Soltanto in questo modo è possibile aumentare l’autenticità di un abito: è una parte emotiva di quella persona. Sono sfumature fondamentali quando si disegna un vestito. Mi piace sempre ricordare che dietro a un abito c’è un percorso di vita di una persona che cerco di raccontare con il design, con i colori. E questo perché ogni cliente deve riuscire a immedesimarsi nell’abito che sta acquistando, al fine di sentirsi parte di quel vestito. I miei clienti scelgono di farsi disegnare un abito proprio per questo motivo: vogliono che il prodotto sia unico».      


Il ruolo del made in Italy nella moda?

«Credo che il made in Italy, specialmente nel 2022, abbia un impatto economico davvero importante all’interno del nostro settore. Questo valore aggiunto è dovuto a coloro che ancora apprezzano l’artigianato, senza dimenticare la qualità di un prodotto. Sono queste persone che valorizzano il made in Italy perché ricercano quella “famosa” etichetta che conferisce maggiore valore a un oggetto tipicamente italiano».    

Come nasce un vestito?

«Il mio lavoro si basa inizialmente su una fase creativa suddivisa in disegno e creazione dell’abito. Dopo questa prima parte ascolto le esigenze del cliente per suggerire oppure condividere scelte e design. È senza dubbio questa la parte più creativa della costruzione del vestito perché devo trovare le soluzioni adeguate alle esigenze chieste dal cliente, al fine di conferire all’abito quella particolarità in grado di contraddistinguerlo. Per i pezzi unici è differente: la parte creativa è sviluppata soltanto da me. Dopo aver realizzato questa mia idea di vestito o più propriamente di “pezzo unico”, spedisco a una sartoria di mia fiducia il bozzetto per la confezione dell’abito».         


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Articolo di Francesco Fravolini