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Alessandra Botto è un’esplosione. Ma un’esplosione nella sua accezione positiva: un insieme di energia, creatività, coraggio ed intuizione. Un gioco di parole che nel suo brand trova la perfetta combinazione.
Avete mai desiderato avere una borsa che, all’utilità, diventi uno zaino, o viceversa? Funzione e inventiva sono proprio il binomio che traspare da ogni colorato pezzo della collezione di Boom Bag. E noi siamo andati a scoprirla nel suo store a Sarzana.
Come nasce Boom Bag? E da cosa deriva il nome?
“Il nome Boom Bag è un gioco ironico, di cognome faccio “Botto” e quindi l’idea deriva proprio da questo.
Il mio progetto è nato nel 2015. Ho cucito il mio primo zaino con un pezzo di pelle trovata ad un mercatino. Avevo la necessità di creare una borsa che potesse contenere il mio computer e che potessi portare a spalla. Quando andavo in giro per Milano, con la bicicletta ed il mio nuovo zaino, realizzato in modo veramente semplice, la gente spesso capitava che mi chiedesse dove lo avevo comprato. Questa è stata la chiave che mi ha permesso di provare a sviluppare una mia linea.
Io sono una designer, ho studiato comunicazione e design della comunicazione a Milano e quindi mi occupo di tutt’altro: di grafica e di comunicazione visiva. Il mio background familiare mi ha sempre però vista alle prese con tessuti e materiali: mia nonna era una sarta e tante cose le ho imparate da lei.
Quando ho realizzato la mia prima borsa il brand comunque non esisteva ancora ed io ho iniziato a portare in giro i miei prodotti attraverso i design market e partecipando alle fiere. Ho avuto un buon riscontro, la gente apprezzava il mio lavoro e questo mi ha portato fiducia.
Oggi sono a Sarzana e ho aperto uno spazio insieme ad altre artigiane e artiste, in cui ognuna di noi ha più cose.”
Come viene realizzata una borsa?
“Ho tentato di cucire il mio primo zaino con la macchina da cucire standard e ho spezzato un milione di aghi. Questo mi ha fatto capire che il mezzo è importante, per cui ho provato prima di tutto a strutturare un progetto e ho disegnato il primo prodotto. Ho poi portato il progetto in laboratorio e ho chiesto se potessero realizzarmelo.
È stato difficile all’inizio, perché io non avendo una preparazione da pellettiera usavo il materiale in maniera molto diversa da come si usa comunemente. Quando si realizza una borsa si tende a ritagliare piccoli pezzi e ad assemblarli insieme, io invece utilizzo un pezzo di materiale intero e lo cucio nel modo più semplice possibile. Quindi con un'unica forma cerco di ottenere un contenitore e poi aggiungo gli spallacci e le tracolle.
Adesso, in tutto, ci sono due collezioni, una con i primi tre modelli che ho disegnato e una più recente che invece ne ha due di zaini tracolla. Oltre ai pezzi grandi ci sono poi anche i pezzi piccoli come i portafogli. Tutti i miei progetti li ho fatti per esigenze personali. Nascono insomma da uno studio di praticità e essenzialità, l’estetica arriva dopo. E secondo me nell’idea di offrire qualcosa in più in questo marasma di prodotti, nel consumismo, ritornare all’essenziale, al binomio forma-funzione che è uno dei cardini del design, è la cosa fondamentale. Meno e meglio.”
Tieni molto al concetto di sostenibilità, cosa puoi dirci a proposito?
“La pelle è un materiale molto pregiato, difficile e criticato, al giorno d’oggi. Soprattutto per la lavorazione che c’è dietro, per la produzione, per tutto quello che comporta la questione relativa allo sfruttamento animale, alle risorse che vengono impiegate e alla chimica. Però la pelle da tradizione nel nostro territorio è un materiale insostituibile e penso proprio che non tramonterà mai.
Quello che faccio è recuperare la pelle che viene scartata a fine produzione dai grandi marchi. Questi avanzi di qualcos’altro prendono una nuova vita. Per questo le collezioni sono molto colorate, perché ogni pezzo è diverso dall’altro.”
Quanto è difficile, secondo te, oggi scommettere sulla creatività, essere un artigiano o un artista?
“Oggi abbiamo tantissimi strumenti e forse l’innovazione, riuscire a comunicare attraverso i nuovi media, è la chiave per riuscire a sopravvivere. Ogni giorno siamo ingoiati da una marea di offerte e proposte e quindi il piccolo deve riuscire a farsi sentire in un modo diverso, arrivando a parlare bene con quello che è l’utente finale e quindi andando a creare un rapporto. Credere nell’artigianato e nelle proprie competenze è fondamentale.
Io però sono ottimista: penso che ci sia proprio la necessità di ritrovare la bottega, di ritrovare questo rapporto più intimo tra le persone, e quindi credo che l’artigianato stia tornando di moda, con una forma diversa, magari, con un sito e-commerce per esempio, ma sta ritornando.
La comunicazione quindi, secondo me, è tutto.
Il mio spazio si trova in una delle tre vie di Sarzana che fanno parte del “Distretto Creativo”, una denominazione che ci siamo dati per riuscire a comunicare meglio. Il centro di Sarzana è sempre stato caratterizzato dall’arte e dall’artigianato: queste vie erano storicamente le vie degli antiquari, ma far arrivare le persone qui è ancora difficile perché passeggiano tutti solo nella via principale.
Organizziamo però degli eventi in collaborazione con la CNA e patrocinati dal comune, dedicati al distretto come una giornata in cui si svolgeranno workshop e alcune botteghe adotteranno un creativo, un artista che viene da fuori.”