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Un portone, poi una grande scalinata e infine una distesa di vasi, piatti, tazze, vassoi. Siamo in una viuzza nel cuore di Bergamo, a Claylab, il laboratorio di ceramica di Luca Pedone. In questo spazio Luca si dedica principalmente alla ceramica funzionale, applicando la magia del pezzo unico fatto a mano a utensili di uso quotidiano per la casa e il ristorante.
Ciao Luca! Come sei arrivato in questo laboratorio?
Io nasco come architetto: ho frequentato il liceo artistico, poi la facoltà di Architettura presso il Politecnico a Milano e, finita questa, ho avviato il mio studio di architettura: qui mi occupavo anche di comunicazione per le aziende, dal logo fino alle campagne pubblicitarie.
Con la crisi del 2008 diversi miei clienti sono falliti, altri non pagavano più, quindi ho dovuto tirare i remi in barca; inoltre, il proprietario dei locali del mio studio aveva rivoluto lo spazio e perciò avevo portato il mio lavoro a casa, dove organizzarmi era più difficile.
Insomma, mi trovavo a un bivio: trovare lavoro presso qualcuno oppure inventarmi qualche cosa. Per caso in un colorificio ho trovato il volantino di un maestro di ceramica e ho deciso di iscrivermi, pensando che così mi sarei distratto dai pensieri del lavoro e dallo stress della crisi. Invece mi è piaciuto così tanto che ho pensato potesse essere una nuova possibilità.
Così ho comprato forno e tornio e, per circa un anno, ho lavorato a casa; quando l’attività è divenuta troppo ingombrante, ho cercato un laboratorio: il primo era a 400 metri da qui, ci sono stato tre anni. Ora sono qui da quattro anni e sono abbastanza comodo, anche se sto comunque cercando uno spazio più grande.
Che tipo di creazioni realizzi?
Il mio rapporto con la ceramica è stato molto influenzato dalle mie passioni, in particolare da quella per la cucina: mi piaceva l'idea di cucinare le mie ricette dentro le mie pentole, servirle ai miei ospiti nei miei piatti. Così ho iniziato a produrre oggetti di questo tipo e la cosa mi è sfuggita di mano: oggi realizzo pentole, piatti per ristoranti, vasi Ikebana… Fondamentalmente pezzi di ceramica funzionale.
Ho realizzato anche una scultura: un bambino con una figura seduta, a grandezza naturale, in grès. Si tratta di una scultura in memoria delle vittime di Covid, l’ho realizzata insieme alla mia compagna per il Comune di Entratico. E’ stato un bel lavoro.
Con che tipo di ceramica lavori?
Sono partito utilizzando la ceramica tradizionale, ovvero la terracotta che si utilizza un po' tutto il bacino Mediterraneo; la mia ambizione era però quella di spostarmi sull'alta temperatura e quindi utilizzare materiali come grès e porcellana, materiali più diffusi nel nord Europa e in oriente. Le mie tazze da tè, le teiere, i vasi ikebana sono sempre molto ispirati all’arte ceramica orientale.
Utilizzo anche molto gli smalti, che creo personalmente: cerco delle ricette, le personalizzo e le applico ai miei pezzi.
E per quanto riguarda le tecniche?
Ne ho sperimentate diverse - dalla Paper Clay, consistente nel mescolare carta e argilla, alla tecnica etrusca del bucchero e a quella giapponese del raku; ma la mia preferita e quella che uso principalmente è il tornio.
Insegni anche attraverso dei workshop: ci racconti qualcosa?
Realizzo corsi un po’ tutto l’anno, quando mi arrivano un po’ di richieste: insegno le altre diverse tecniche - il pizzico, il colombino, la lastra. Durante l'ultima lezione si smaltano tutti i lavori realizzati durante il corso: ogni partecipante tornerà a casa con una decina di pezzi fatti durante l'anno.
Naturalmente insegno anche il tornio, è molto impegnativo perché qui seguo uno studente per volta, in sessioni anche di due ore. Però arrivano persone anche da lontano: un giorno un gruppo è venuto da Zurigo a fare un workshop, mentre l'altro ieri è venuta una famiglia di sudcoreani che vive in Germania. Erano in vacanza a Sirmione e mi hanno chiesto di poter fare un laboratorio di ceramica nel pomeriggio: hanno realizzato delle tazze che poi provvederò a smaltare e spedire loro a casa.
Lavori molto con l’estero? Com’è la tua clientela?
Soprattutto all’inizio mi sono appoggiato molto ad un sito, che mi ha permesso di vendere oltreoceano: molti vasi e alcuni piatti sono andati negli Stati Uniti, dei vasi per bonsai sono andati alle Hawaii, un altro vaso in Australia.
In Italia il commercio dell’artigianato online vende poco, qui si è più abituati a una vendita che garantisca comodità come la spedizione gratis, il reso anche dopo molti giorni, che un artigiano non riesce di solito a garantire. Comunque spedisco spesso all’estero soprattutto gli Ikebana: ne ho venduti a Parigi, a Dover in Virginia.
Mi piace molto questa internazionalità, la possibilità di uscire dai confini del mio territorio. Oggi lavoro anche molto su ordinazione, prevalentemente per ristoranti - da tutta Italia: Bari, Asiago, Arezzo, l’estate scorsa ho fatto dei piatti per un locale di Berna. Oppure privati che vogliono farsi un servizio artigianale.
In questo momento stai lavorando a qualche prototipo in particolare?
Sì, per un ristorante importante - ha tre stelle Michelin - mi è stato chiesto di studiare dei contenitori per uno dei loro piatti storici.
Inoltre, sto realizzando dei piatti per delle ragazze che invece parteciperanno a un concorso mondiale di pizza.
E per il futuro hai qualche progetto in mente?
Mi piacerebbe allargare il laboratorio e dargli una spinta un po' più internazionale, oltre che strutturare meglio i corsi, magari rendendoli stabili e separandoli dai tempi e spazi della produzione e realizzandoli anche in collaborazione con dei colleghi.