Proprio vero che il vino buono sta nella botte piccola. E persino «nello spazio piccolo». Lo ripete continuamente come un mantra Giovanni Palermo, responsabile della Bruchicello vini, cantina di Salaparuta e tra le più rinomate in Sicilia.
In questo spazio, ricavato da un precedente garage, vede la luce un vino speciale e combattente. L’obiettivo è duplice: non solo una finalità commerciale, ma soprattutto il concetto di resilienza siciliana.
Bruchicello Vini, sotto il profilo sociale, tenta di contrastare il crollo demografico e lo spopolamento in atto in queste aree interne della Sicilia occidentale, qui dove è ancora tangibile la cicatrice lasciata dal terremoto della valle del Belice del 1968.
Giovanni Palermo, quando nasce Bruchicello vini?
“Nasce nel 1976, grazie a mio nonno e mio padre, che era un coltivatore di uva. Lui si è ostinato a tramandare la cultura vitivinicola di questa zona dopo il terremoto del 1968.
All’epoca, buona parte degli abitanti emigrarono, dopo essersi ritrovati senza un’abitazione. L’azienda l’ho ereditata come enologo, trasformandola anche in azienda produttrice di vino”.
Che tipi di vino e quante linee producete qui?

“Vitigni autoctoni siciliani e, con l’arrivo di mio figlio, anche lui enologo, stiamo lavorando con vini come Catarratto, Nero D’Avola e Cabernet Sauvignon, nelle diverse tipologie di Doc Salaparuta bianco e Igp terre siciliane bianco.
Di Nero D’Avola abbiamo sia il Classico che il Riserva Salaparuta. Del Cabernet sauvignon produciamo solamente la riserva. Ora ci stiamo accingendo a produrre nuove varietà come il Petit Verdot e il Sirah. Nello specifico abbiamo la linea tradizionale che è il Nero d'Avola, la nostra prima etichetta.
Poi è nato il Catarratto bianco in purezza e quindi poi un Nero d'Avola rRserva. In più c’è il Cabernet Sauvignon, che è il nostro top di gamma, imbottigliato per la prima volta nel 2014”.
Perché proprio il Cabernet Sauvignon?
“Perché viene prodotto in edizione limitata. Produciamo solo duemila bottiglie ogni anno, salvo annate eccezionali in cui si produce qualche bottiglia in più.
Abbiamo duemila piante di Cabernet Sauvignon e ogni pianta produce uva per una bottiglia di vino. E questa è una caratteristica che ci porta ad avere particolare attenzione su questo prodotto”.
Quali sono i tempi di lavoro di lavoro qui?

“Si comincia in campagna all’alba per verificare lo sviluppo della vigna. Poi ci dedichiamo alla cantina, dove c’è l’affinamento del vino. Parte del tempo va dedicato alla commercializzazione e al marketing, con il rapporto con il cliente.
Distribuiamo non solo in Italia, ma anche in Germania, Repubblica Ceca, Svizzera, Stati Uniti e nel passato anche in Giappone. Il nostro cliente deve rimanere soddisfatto quando beve i nostri vini”.
Quali sono gli obiettivi futuri di questa cantina?
“Sono destinati ormai ai giovani. Sto cedendo l'azienda ai miei figli, in modo che possano avere una visione più ampia della commercializzazione. Perché alla fine loro sono cittadini del mondo. Punteremo su nuove varietà come il Perricone, che è un vitigno siciliano che intendiamo rivalutare per il futuro”.