La Bottega delle percussioni

Articolo di Vassily Sortino

Ci sono luoghi magici, che nascono o per caso o perché riescono a coprire una esigenza a cui nessuno aveva mai pensato. L’esistenza del laboratorio La Bottega delle percussioni in via del Parlamento, a Palermo, è un insieme di entrambi i casi. Il fondatore, Santo Vitale, nella sua vita aveva già un posto fisso e una carriera d’ufficio assicurata. Ma poi è prevalso l’istinto e la voglia di creare un negozio dove potere riparare tamburi, in pieno centro storico cittadino. Da lì è cambiata la sua vita, che oltre che in artigiano, lo ha trasformato in insegnante e musicista. 

Santo Vitale, è vero che l’esistenza di tutto questo nasce per un compleanno?

«L’associazione culturale nasce nel duemila. Nella mia famiglia nessuno faceva questo mestiere. Mia sorella compiva 18 anni e non sapevo cosa regalarle. A quei tempi lavoravo nella borgata marinara di Mondello. Ho incontrato per strada un senegalese che vendeva dei tamburi. E ho deciso di donarle uno di questi strumenti. Allora cosò 165 mila lire. Porto questa sorpresa a casa e tutti mi prendono per matto. Per fortuna a mia sorella è piaciuto. Un po’ lo suonavo io e un po’ lei. Dopo tre mesi si rompe la pelle. A quel punto mi ero affezionato a questo strumento, che nella categoria dei tamburi era un djembe, ho cercato qualcuno che lo potesse riparare. Non c’era Internet e non c’erano tutorial a disposizione. Ho chiesto anche alle comunità africane, ma non ho trovato chi fosse capace di ripararlo».



E a quel punto che è accaduto?

«Io ho sempre avuto una buona manualità e a casa mia madre aveva un vecchio tappeto in pelle di mucca. L’ho tagliato e ho provato a sostituire la pelle del tamburo. Le prime due volte ho fallito. Ma la terza volte ce l’ho fatta. A quel punto mi si è accesa una lampadina. Ho cominciato a lavorare nel garage di mio padre con delle piccole riparazioni, fino a quando un percussionista amico mio mi ha consigliato di aprirmi un laboratorio che vive da 23 anni».

Lei quindi costruisce e ripara percussioni?

«Sì, perché non c’era un laboratorio di questo tipo. E ho scelto di fare un po’ tutto perché il tamburo è uno strumento magico in tutte le sue forme. Essendo palermitano, io mi sono specializzato nella costruzione del tamburello siciliano, che è formato da una pelle, di solito di capra e da legno di faggio. Preparo tutto io. Poi costruisco anche tutta la liea di tamburi a cornice nord-africani. Da quest’anno ho iniziato a creare dei tamburi giapponesi. Tutti gli strumenti a percussione nascono per un fine religioso. Ho poi la linea di strumenti spagnoli, brasiliani e cubani. Il bello del mio lavoro è costruire strumenti che nascono in altri paesi e dargli vita in Sicilia».

Quali sono le tecniche di lavoro?

«Non ho molto spazio in laboratorio e non ho i macchinari giganti delle grandi fabbriche. Qui si lavora come un tempo: con utensili semplici e autocostruiti. Gli strumenti di fabbrica non hanno un’anima. Qui ce l’hanno perché sono fatti a mano. I miei clienti sono percussionisti famosi o principianti. Io qui faccio poi molte riparazioni e sono diventato un punto di riferimento in tutta Italia. Lavoro molto con le scuole, dove insegno, e fornisco gli strumenti».



Che prospettive ha un’azienda artigianale come questa?

«Mio padre, quando ho aperto questo posto, mi definì “pazzo” per avere lasciato un posto fisso in fabbrica. Sono passati 23 anni e oggi è il mio primo ammiratore. La musica è sempre in crescita e si nutre ogni giorno, dandoci la speranza di andare avanti. Siamo un punto di riferimento per tante scuole. Nel futuro vedo speranza e bei progetti. Questo non è solo un laboratorio di costruzione, ma attraverso la musica noi diamo consapevolezza ai ragazzi di come si può essere amici. Attraverso la musica formiamo persone. Ed è questa la nostra prospettiva».


 








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