Essere dentro una area di produzione di birra in Sicilia, a Terrasini per l’esattezza, ma avere la sensazione di trovarsi in un efficiente azienda tedesca, col clima della California. È la magia che ha saputo creare in due anni di pazienti lavori Vito Biundo, responsabile del birrificio Bruno Ribadi, che ha trasferito la sua sede da Cinisi in un ex segheria abbandonata da 25 anni e dove ha saputo fare convivere il nuovo della sua visione imprenditoriale con i particolari murales che in un quarto di secolo qui erano stati disegnati dai giovani del posto con la voglia di fare street art. D’altra parte, per chi ha fatto perfino di un logo – un uomo baffuto molto vintage – un punto di vittoria e di diffusione della sua birra, mantenere quell’aspetto colorato era il giusto che ci si potesse aspettare.
Vito Biundo, quando nasce il Birrificio Bruno Ribadi col suo logo tanto iconico?
«Birrificio Bruno Ribadi nasce nel 2016, un po’ per gioco e un po’ per passione in uno stabilimento di 150 metri quadrati a Cinisi. Oggi siamo riusciti a diffondere la nostra birra su tutto il territorio nazionale, valorizzando il fatto che fosse siciliana, usando ingredienti locali».
Come si è sviluppata la produzione aziendale negli anni?
«Partendo da tre linee di birra. Otto anni dopo, al Birrificio Bruno Ribadi, vantiamo la produzione di nove linee, caratterizzate da prodotti del territorio siciliano: spezie, carruba, agrumi, grani antichi e uva passa di Pantelleria. Siamo in un territorio che principalmente esalta il vino e dove la birra locale non esisteva. Per questo motivo abbiamo voluto caratterizzare nella nostra birra degli stili autoctoni».
Quale è il processo di produzione del Birrificio Bruno Ribadi?
«Quello totalmente artigianale. Secondo normativa partiamo da un prodotto che non può essere microfiltrato e pastorizzato. Noi del Birrificio Bruno Ribadi inoltre puntiamo alla rifermentazione in bottiglia. Un processo naturale dove l’anidride carbonica che si trova nelle nostre birre è prodotto solo dal lievito. Naturalmente non c’è utilizzo della chimica e degli additivi. Il malto d’orzo è di nostra produzione e da lì parte il processo produttiva con la sua molitura, la miscela con l’acqua e l’ammostamento per l’estrazione dello zucchero. Poi c’è la filtrazione che separa parte liquida da quella solida. Il mosto viene recuperato per la produzione e viene aromatizzata con luppoli e spezie. Poi c’è l’abbattimento della temperatura e la fermentazione naturale con la sedimentazione a freddo. Finito questo percorso di maturazione della birra, c’è l’imbottigliamento, con la rifermentazione in bottiglia. Il risultato è un prodotto totalmente naturale».
Può dirci la birra che è il vostro fiore all’occhiello?
«La Sicilian pale ale, ovvero uno stile inglese adattato alla Sicilia. All’interno troviamo il sommacco, pianta di origine araba e autoctona nel nostro territorio, ricchissima di polifenoli e piena di proprietà antiossidanti. A questa si aggiungono agrumi e pepe rosa. Un’ambrata made in Birrificio Bruno Ribadi che richiama il tramonto della nostra terra siciliana».
La vostra idea di imprenditorialità va oltre l’idea del vendere birra?
«Sì, perché punta anche alla cultura e alla qualità del bere bene, valorizzando il territorio. Abbiamo aperto la nostra prima taproom al molo trapezoidale di Palermo e vogliamo aprirne altri in Italia entro quattro anni, totalmente dedicati alla birra Bruno Ribadi».
E siccome non ci si vuole fermare mai, il nuovo birrificio della Bruno Ribadi tenderà ad essere aperto anche al pubblico. La mattina alle scuole e ai turisti per dei percorsi che porteranno a fare conoscere come la birra viene prodotta. La sera con degli eventi e delle feste, con assaggi di birra e musica.
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