Bocca D’Orzo, la cultura della campagna dal nonno al nipote

Articolo di Vassily Sortino

Quando si dice che “La crisi è opportunità”, bisognerebbe prendere come punto di riferimento la storia di Pietro Rizzuto, di Bocca D'Orzo. Geometra, con un lavoro avviato ad Alcamo e assunto come impiegato da giovane, l’azienda per cui lavorava è fallita “sbattendo”, economicamente parlando, nei lavori intorno al mondo delle pale eoliche, che in Sicilia hanno sempre avuto un sapore commerciale ambiguo.

Ritrovatosi senza un lavoro, Pietro ha pensato che nulla era perduto e che le sue speranze risiedevano in un uliveto che suo nonno aveva iniziato a coltivare dal 1927 e che sia suo padre che suo zio - che avevano scelto dei mestieri abbastanza borghesi e dove meno ci si doveva sporcare le mani – avevano abbandonato al loro destino. Lui, invece, in quella terra ha visto una possibilità di rinascita e, coltivandola nuovamente e comprando nuove terre, fino ad arrivare a trenta ettari, ha fondato l’azienda Agricola Bocca D’Orzo di Camporeale. 

Un’azienda economicamente incentrata sull’olio biologico e dove la chimica non esiste. Figurarsi che per proteggere le piante di ulivo, qui non si utilizzano i diserbanti, ma la vecchia tecnica della bottiglia d’acqua mischiata con l’aceto appesa al ramo.

Le mosche dell’ulivo ne sono ghiotte, senza sapere che per loro è però fatale. Non solo, per proteggersi da altri parassiti dell’ulivo – quelli che ne succhiano la corteccia e poi la linfa per intenderci, qui si utilizza un mix di polvere di pietra e acqua, che rende la corteccia bianca e protetta. E se il parassita prova a violarla, la sua bocca si impasterà con la polvere di pietra, uccidendolo per sempre e impedendone la riproduzione. Tecniche antiche, che battono le moderne e restano attuali ancora oggi, per una natura che si salva lei stessa e salva il senso della vita di un uomo che pensava di avere perso tutto e che invece è rinato.

Pietro Rizzuto, quando nasce l’azienda agricola Bocca D’Orzo a Camporeale?

«La nostra azienda agricola nasce nel 1927, quando mio nonno ha impiantato i primi ulivi di varietà Biancolilla nei terreni di famiglia, che sono stati ereditati da mio padre e mio zio, senza però utilizzarli. Io, dopo che mi sono ritrovato disoccupato, perché l’azienda per cui lavoravo è fallita dopo una serie di indagini della magistratura, ho ripreso il vecchio terreno e ho impiantato nuovi ulivi, queste volta anche di varietà Cerasuola e Nocellara del Belice. Ho così messo in piedi nei miei spazi le tre cultivar tipiche e autoctone della Sicilia occidentale».

Oltre all'olio quali altri prodotti producete?

«L’olio, è importante da ricordare, perché è un mix delle tre coltivazioni Cerasuola, Nocellara e Belice. Insieme rendono il sapore dell’olio non troppo aspro e non troppo leggero, quindi molto piacevole al palato. 

Siamo inoltre produttori di cereali. Noi coltiviamo un grano antico, il Perciasacchi, con cui produciamo la pasta. Il formata top di gamma sono gli spaghetti per fare la ricetta alla chitarra. Poi produciamo anche legumi, ceci, e lenticchie. Il tutto è distribuito in vari terreni che occupano 30 ettari di spazio»

Quale è il prodotto da voi creato di cui siete più orgogliosi?

«Il prodotto di cui siamo più fieri, lo ribadisco è la pasta con grani antichi Perciasacchi. Era un grano che era stato dimenticato in Sicilia ed era estinto da quarant’anni e che siamo riusciti a portare in auge. 

Un grano veramente fantastico, soprattutto per la sua capacità di resistenza, ma anche perché è un grano salutare e che non crea problemi di alimentazione alle persone che ne gustano la pasta derivata. In sette anni col Perciasacchi siamo riusciti a compiere un miracolo economico producendo, oltre agli spaghetti, anche le caserecce».

Come si svolge la sua giornata da contadino che un tempo lavorava in città?

«Questo non è un lavoro, ma una passione. Perché mi ha davvero cambiato la vita. Ogni mattina mi sveglio presto per controllare i miei uliveti e per comprendere se sono in salute. 

Controllo le foglie e tratto tutte le piante con prodotti naturali e mai chimici, tagliando l’erba alta intorno al terreno e nutrendolo. Uno dei momenti più importanti è il tranciamento dell’erba, che deve essere fatto prima del grande caldo estivo».

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Cosa prevede di fare in futuro di questa passione, diventata un lavoro?

«Il sogno personale? È sicuramente quello di costruire un piccolo oleificio. Una struttura dove possiamo molire le nostre olive, ma anche quelle dei piccoli e grandi coltivatori di Camporeale, che spesso devono percorrere decine e decine di chilometri per trovare un impianto dove fare spremere i chili e chili di olive da trasformare in olio. 

Dei 30 ettari di terreno a mia disposizione, 12 oggi sono dedicati agli uliveti e a questi presto se ne sommeranno altri cinque. Voglio però io, nei giusti tempi, riuscire a trasformare da oliva a olio il mio prodotto, costruendo la struttura vicino al paese».

Questo il sogno di Pietro, splendido quarantenne con moglie e due figli, che rischiava di perdere tutto e che ora, grazie al lavoro delle sue radici familiari passate, ha trovato nella terra il suo equilibrio. Decisamente un esempio da tenere in alta considerazione per tutti. Soprattutto per chi è sottomesso alle regole della città.


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Bocca D’Orzo, la cultura della campagna dal nonno al nipote
Vassily Sortino May 26, 2025
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