La nuova minaccia di Donald Trump di imporre dazi fino al 50% sui prodotti europei ha riaperto uno scenario di forte incertezza per le imprese italiane, in particolare per quelle che esportano negli Stati Uniti beni simbolo del Made in Italy.
Dalla meccanica alla moda, passando per l’agroalimentare e la realizzazione di mobili: tutte le imprese Made in Italy saranno colpite dai dazi americani. Se da un lato l’Unione europea è riuscita a ottenere una proroga al 9 luglio per negoziare un accordo, dall’altro la tensione politica interna ed esterna rischia di rendere ancora più complessa la costruzione di una risposta unitaria ed efficace.
L’Italia divisa sulla strategia: tra “dazi zero” e realismo negoziale
Sul piano nazionale, la partita si gioca su due fronti.
Da un lato il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha annunciato l’intenzione di utilizzare fino a 25 miliardi di euro, attraverso la riprogrammazione di fondi PNRR, Coesione e Fondo sociale per il clima, per compensare gli effetti negativi dei dazi sulle imprese italiane. Una proposta alla quale la premier Meloni ha risposto in maniera tiepida.
Dall’altro, emergono tensioni politiche interne alla maggioranza: mentre la premier Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani spingono per una linea del “dazi zero”, la Lega, con Matteo Salvini in testa, ritiene più pragmatico accettare uno scenario intermedio, simile a quello già concordato dal Regno Unito con gli Stati Uniti (dazi al 10%, ndr).
Il timore condiviso è che la guerra commerciale, se dovesse esplodere, possa colpire duramente i comparti manifatturieri più esposti. Una prima fotografia in tal senso proviene dai mercati, che continuano a salire e scendere in maniera vertiginosa in seguito alle parole di Donald Trump.
L’Italia, tra le principali potenze industriali d’Europa dietro a Germania e Francia, non può permettersi un’escalation che metterebbe a rischio miliardi di export verso il primo partner extra-UE.
Lo scenario potrebbe essere simile a quello che ha colpito le aziende italiane – attive soprattutto nel settore luxury - che negli scorsi anni vedevano nella Russia il loro primo riferimento commerciale in termini di mercato e che hanno dovuto riscrivere i loro scenari in prospettiva.
Made in Italy sotto attacco: chi rischia di più

Il settore agroalimentare rischia di essere quello tra i più colpiti dai dazi statunitensi. Vini, formaggi, salumi e pasta – prodotti che incarnano l’eccellenza italiana, come siamo soliti raccontare su ItalianBees – rischiano rincari insostenibili per i consumatori americani, con un impatto diretto sulla competitività delle imprese.
A rischio anche il comparto meccanico e la filiera della moda, entrambi fortemente dipendenti dalle esportazioni. Secondo dati ICE, nel 2023 l’Italia ha esportato beni negli Stati Uniti per oltre 67 miliardi di euro.
Un dazio medio del 10%, o peggio del 50% come minacciato da Trump, potrebbe ridurre il volume di esportazioni anche del 20%, con effetti devastanti in termini di occupazione e produzione.
In particolare, le PMI – spina dorsale del Made in Italy – sarebbero le più vulnerabili, avendo minori margini per assorbire l’aumento dei costi o riconvertire le esportazioni verso altri mercati. Su quante persone potrebbero impattare questi dazi, lo raccontano i numeri forniti da Confartigianato.
Le PMI in Italia sono oltre 4 milioni e 200 mila. Su circa 4,4 milioni di imprese attive, le microimprese con meno di 10 addetti rappresentano il 95,13% del totale. A essere impiegati sono oltre 7 milioni e mezzo di persone, ovvero più del 40% della forza lavoro attiva nel settore privato.
Un taglio del 20% sui mercati rischia di far chiudere i battenti a molte delle realtà artigiane già compite dall’aumento del costo delle materie prime e dell’energia conseguente a Covid, guerra in Ucraina e crisi mediorientale.
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Il nodo europeo: la Commissione alla prova diplomatica
Uno spostamento di circa un mese per l’introduzione dei dazi. Questo quanto ottenuto a livello comunitario dalla presidente Ursula von der Leyen. L’approccio negoziale è volto a scongiurare un’escalation del Tycoon, sempre dietro l’angolo.
Il Commissario al Commercio, Maros Sefcovic, ha ribadito la volontà dell’Ue di procedere con una riduzione graduale dei dazi su beni non sensibili, promuovendo nel contempo una cooperazione strategica su dossier come la Cina e la sicurezza delle catene di approvvigionamento.
Ma le profonde divergenze sono ancora tutte da superare. Perché gli Stati Uniti chiedono concessioni su web tax, IVA e normativa regolatoria europea, richieste giudicate inaccettabili da Bruxelles, soprattutto alla luce dei costi ai quali vanno incontro le aziende italiane attive nell’export.
Come ha dichiarato l’ex capo economista del FMI, Olivier Blanchard, l’Ue “deve essere pronta a un duro scontro”, poiché cedere su questi punti significherebbe compromettere la propria sovranità economica e fiscale. Un passaggio che i governi sovranisti europei non possono accettare.
Quale futuro per le imprese italiane?
In attesa del 9 luglio, data fissata per il possibile accordo e al momento data prescelta per l’introduzione dei dazi americani, le imprese italiane si trovano in una pericolosa zona grigia.
La strategia indicata dal ministro Urso, fondata su aiuti compensativi, è una prima ancora di salvataggio in attesa di trovare una soluzione. Ma come ricordato dall’economista Carlo Cottarelli, i miliardi che l’Italia potrebbe davvero rimodulare per le imprese sarebbero “soltanto” sei.
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Serve una visione strutturale che metta in sicurezza l’internazionalizzazione del Made in Italy attraverso diversificazione dei mercati, investimenti nell’innovazione e strumenti di protezione finanziaria: temi che dovrebbero tornare centrali all’interno dell’agenda Ue.
Il futuro delle relazioni commerciali transatlantiche resta incerto, ma una cosa è chiara: l’Italia non può restare spettatrice e continuare a non prendere posizione. Difendere il Made in Italy significa difendere l’identità produttiva del Paese, il lavoro di milioni di persone e una delle principali leve dell’economia nazionale.
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