Azienda Agricola Spadafora

Articolo di Vassily Sortino

Un vero padrone di casa, della sua immensa vigna. Questo è Francesco Spadafora, imprenditore e proprietario dell’Azienda agricola Dei Principi di Spadafora, che con la figlia Enrica ne è l’anima. Insieme hanno saputo trasformare questo spazio in contrada Virzì, tra le colline interne di Alcamo e Camporeale, non solo in un luogo di produzione di vino e in seconda battuta di olio, ma anche in uno spazio ricettivo dove turisti da tutto il mondo vogliono trascorrere delle vacanze incentrate sul vino. Il passo di Francesco Spadafora tra questi vigneti è come quello di un padre che conosce le sue piante una per una e ne concepisce le sofferenze e i vantaggi di posizionamento in funzione del vento e del terreno, dove non smette mai di immergere le mani per capirne la qualità. Già, perché è la qualità quello su cui si è deciso di puntare in questa azienda, dove gentilezza e sorriso sembrano non mancare mai.

Francesco Spadafora, quando nasce l’Azienda agricola dei Principi di Spadafora?

«Diciamo da almeno cinque generazioni. Abbiamo prodotto vino per anni. Mio padre ha venduto uva per vent’anni e dal 1988 ho gestito quest’azienda con l’intenzione di trasformare l’uva in vino. La prima bottiglia l’ho realizzata nel 1993 e l’ho dedicata a mio padre: Don Pietro. Da lì siamo cresciuti. Utilizziamo l’agricoltura biologica e senza lieviti, se non quella dell’uva stessa. Siamo legati alla sostenibilità. Siamo terra, campagna, vento».



Quale è la vostra politica aziendale?

«Vinificare la nostra uva. Non compriamo un chicco d’uva o un litro di vino. Il 50 per cento della produzione è di uva bianca e l’altro 50 per cento è di uva rossa. Tra le bianche abbiamo le classiche siciliane: Catarratto, Grillo, Insolia e Chardonnay. Per i rossi: Nero d’Avola, Sirah, Cabernet e Merlot. Queste uve nascono da una sperimentazione che ho fatto negli anni Novanta e ho capito cosa veniva particolarmente bene qui. I risultati ci hanno incoraggiato. La vendemmia dura un mese e mezzo. Raccogliamo quando l’uva è pronta e stiamo attenti a non rovinare cosa è stato fatto durante l’anno. Siamo responsabili, ma molto dipende dalle condizioni climatiche».

Ecco, viviamo un’epoca in cui si parla di cambiamento climatico. Cosa è cambiato nel vostro mestiere?

«Ha modificato una serie di situazioni. Abbiamo alzato la vigna per fare circolare meglio l’aria, lasciamo più foglie, abbiamo accorciato la parete fogliara. Insomma, abbiamo fatto il lavoro dell’agricoltore».

Quale è il vino più richiesto dai clienti?

«Noi produciamo 16 etichette. Sembrano tante, ma sono cinque progetti diversi l’uno dall’altro. E su tutti i vini mettiamo la stessa filosofia di produzione. Il più venduto è quello che costa un po’ meno, ma anche è anche il più venduto e merita grandissima attenzione. Ma allo stesso tempo anche quello che è più costoso merita attenzione, perché andrà in mano a una tipo di clientela abituata a bere. La filosofia aziendale resta sempre la stessa. Fare vino è la parte finale di una gestione che dura otto mesi. Quando inizi a potare pensi alla prossima vendemmia, lasci le gemme che ti serviranno, pensi ai grappoli che faranno e vedi cosa farne. I lavori sulle vigne dipendono dalle bottiglie a cui sono destinate. È un lavoro più ragionato rispetto a un tempo».



Come si svolge la sua giornata lavorativa?

«Io mi sento un agricoltore e seguo il lavoro in base ai periodi dell’anno. A luglio mi sveglio alle 5, gli operai arrivano alle 5,45. Si imposta il lavoro in funzione del meteo. Quando fa caldo si riduce il ritmo dopo le 12, perché si fa molta fatica. In inverno si comincia a lavorare alle 7,30 e si lavora 8 ore. Fare vino è un lavoro agricolo, con l’obiettivo di portare uva sana in cantina. Se l’uva è sana il vino viene e resta buono anche dopo 20 anni. E il posto dove ci troviamo e la sua terra fanno tanto».

Quale è il futuro dell’azienda?

«Io sto per fare 68 anni e sono anziano per lo Stato Italiano. Mia figlia lavora con me e si occupa di accoglienza, degustazione e social network. Segue il mercato in Italia. Magari in futuro avrà bisogno di un agronomo? Oggi è più facile trovarlo di un tempo. Avrà bisogno di un enologo? Idem. Ma se l’azienda è rappresentata da una persona di famiglia, tutto va bene».

E la futura erede, Enrica, non perde certo tempo: «Lei – racconta il padre -promuove, va in giro per il mondo, cosa che non voglio più fare, è ben vista, conosce le lingue, è disinvolta, ci crede e lo fa con piacere». Insomma, il futuro è roseo e rosa.


 








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Articolo di Vassily Sortino