Il nome, B94, rimanda alle origini, l’anno in cui è partito il sogno. E il mastro birraio Raffaele Longo è un sognatore che ce l’ha fatta. Il suo è un mestiere fatto di passione, impegno, legami forti con il territorio e divulgazione. Perché la birra artigianale è gusto, convivialità e cultura.
Storie che raccontano la magia del Made in Italy, con le video interviste disponibili su YouTube:
Raffaele, come nasce questa impresa in un territorio a tradizionale vocazione vitivinicola come quello salentino?
E' stata una bella sfida, entusiasmante, nata dalla passione. In realtà ho iniziato dal collezionismo, più che altro rivolto alle bottiglie di birra. Poi sono passato ad approfondire la produzione ed è avvenuto tutto un po' per caso. Mi trovavo a Genova, era il 1992, e ho preso dei libri che parlavano di birra fatta in casa. Da
questi due testi nel 1994 sono passato alla produzione casalinga, quindi sono diventato a tutti gli effetti un homebrewer.
Un homebrewer è un appassionato-bevitore di birra che fa la birra in casa. Ho fatto le prime cotte per il piacere di produrre una bevanda che poi avrei bevuto e non immaginavo che con il tempo avrei creato un birrificio. Però in realtà dopo qualche anno ho cominciato ad accarezzare l'idea di fare una produzione un po' più strutturata. Nel frattempo ho completato gli studi universitari, ho lavorato in un'azienda di famiglia, mi sono spostato fuori per lavorare in altri contesti ed è proprio così che ho maturato la consapevolezza di voler seguire la passione. Il lavoro in un istituto bancario mi stava stretto e ho scelto di lasciare l’ufficio e abbracciare la strada della produzione di birra.
Sembra un passaggio semplice ma in realtà non lo è stato perché ha comportato tutta una serie di impegni, di sacrifici ma anche di cose belle. Era il 2006 quando mi licenziai, ero a Bologna, e tornai nel Salento per sviluppare questo progetto. La parte preliminare è durata circa due anni, poi il caso ha voluto che incontrassi un mio amico e collega della provincia di Bari e che iniziassi a produrre presso il suo stabilimento.Nel 2008, subito dopo il suo start, cominciai pure io, portando da qui i miei malti, i miei luppoli, le mie bottiglie, i miei tappi. Cominciai quindi a produrre nel maggio 2008 e le prime birre furono commercializzate a luglio 2008. Da lì è partito tutto. Nel tempo siamo passati da un impianto da 4 ettolitri quasi a manovella ad un impianto a vapore da 20 ettolitri.
In quale modo si concretizza il rapporto con il territorio?
Abbiamo una gamma di prodottiarticolata in tre linee. Una di queste è la Family Roots che riguarda le birre realizzate con ingredienti locali. La prima a nascere è stata Malagrika, nel 2009, prodotta con confettura di mela cotogna preparata per noi da un artigiano locale, senza pectina, con zucchero di canna. Poi c’è Santirene, una tripel che contiene una buona percentuale di miele di timo del territorio, biologico e non pastorizzato, la Cassarmonica, un altro prodotto strutturato, caratterizzato dall’impiego di vincotto di mosto d'uva primitivo, la Santoronzo, una coffee stoutrealizzata con un'aggiunta di caffè espresso di una torrefazione locale. O, ancora, la Sargeniska, birra molto simpatica, molto buona, rinfrescante, con succo di angurie provenienti dal comune di Nardò. L’ultimo arrivo è la Don Filippo, con cui abbracciamo un ambito un po' più ampio perché è fatta con un'aggiunta di pura pasta di mandorle concentrata e le mandorle sono quelle del presidio Slow Food Mandorla di Toritto.
Quali sono le tecniche di produzione e qual è la filosofia della tua azienda?
Le tecniche di produzione sono fondamentalmente legate all'alta fermentazione. Lo sono state fino a qualche tempo fa. Oggi, infatti, riusciamo anche a produrre secondo la tipologia della bassa fermentazione. Per cui le facciamo entrambe, utilizzando i lieviti ad hoc.
La filosofia aziendale è stata fin da subito quella di legarci al territorio e oggi ci sentiamo presidio. Questo legame si manifesta con la partecipazione a mercatini, fiere, manifestazionie con la sponsorizzazione di piccoli eventi sportivi, non sportivi, musicali. Per quanto riguarda il processo produttivo, questa connessione si è manifestata con la decisione di usare le materie tradizionali, tipiche.
Fate anche divulgazione intorno alla cultura della birra e in questo senso l'accoglienza di clienti del posto o turisti è proprio un'occasione per diffonderla?
Sì, certamente. L'obiettivo è stato centrato per i primi 14 anni partecipando a eventiin cui potevamo svolgere un'attività di comunicazione e divulgazione, soprattutto perché siamo stati i primi a nascere in ambito di birrificazione e sapevamo che dovevamo superare l'ostacolo della mancata conoscenza del prodotto ‘birra artigianale’.
Due anni fa abbiamo aperto la TapRoom, dove, tre giorni a settimana, dal giovedì al sabato, accogliamo avventori, appassionati, turisti, conoscitori del mondo birra che vogliano appassionarsi ancora di più e che vengono qui per provare, degustare, assaggiare.
Lì si può fare un lavoro più chirurgico perché riusciamo a consigliare, ad affiancare a del cibo semplice i nostri prodotti, che sono ormai tanti. Contiamo in gamma circa 17 birre e cerchiamo di trasmettere la cultura e quindi anche la possibilità di bere un prodotto invece che un altro, a seconda di quello che si sta mangiando, ma soprattutto anche dello stato d'animo e degli orari di degustazione.
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