La storia del Birrificio Messina è una di quelle storie che raccontano una eccellenza made in Italy partita da un fallimento e da una scommessa vinta da parte dei quindici lavoratori che hanno creduto potesse esistere una realtà diversa anche a queste latitudini. Dalla birra prodotta da Heineken in riva allo Stretto passando per la Triscele e quindi il Birrificio Messina.
Non solo marchio riconosciuto nella produzione di una birra siciliana, ma soprattutto voglia di riscatto. Questo birrificio è infatti stato fondato da quindici dipendenti che hanno preferito rinvestire il loro TFR in una nuova azienda divenuta oggi un marchio riconosciuto non più solo nell’Isola ma anche in tutta Italia. Con un occhio al mercato straniero. A raccontarlo a Italian Bees è il presidente della cooperativa, Mimmo Sorrenti.
Storie che raccontano la magia del Made in Italy, con le video interviste disponibili su YouTube:
Qual è la vostra storia in questo territorio?
“La nostra storia è iniziata dopo il fallimento dell'azienda Triscele, che è stata allora ceduta da Heineken. Nonostante i 18 mesi di presidi continui davanti al vecchio stabilimento, nessun imprenditore ha voluto avvicinarsi. Dei quarantuno che rischiavano di essere trasferiti in giro per l’Italia o perdere il posto di lavoro, nel 2013 in quindici abbiamo scelto di formare una cooperativa. Così, il 9 agosto del 2013, abbiamo dato vita al Birrificio Messina. Siamo partiti dalle basi: trovare l'acqua, i capannoni, comprare le macchine, realizzare un piano finanziario. Le banche non ci hanno aiutato, ma la fondazione presieduta da Gaetano Giunta lo ha fatto. Il primo piano finanziario è stato di 3 milioni di euro, ma la città di Messina ci ha presto aiutato a crescere”.
A distanza di 11 anni da quando avete aperto questi stabilimenti, quanto è cresciuto il birrificio Messina?
“Il birrificio Messina è cresciuto tanto: siamo partiti con la produzione nel 2016 e avevamo 5 mila ettolitri. Poi nel 2017 abbiamo raddoppiato, nel 2018 ancora abbiamo raddoppiato. Adesso arriviamo solo con la nostra birra a circa 36 mila ettolitri e in più produciamo della birra per altri. L’obiettivo di quest’anno è raggiungere quota 50 mila. Il sogno, invece, è raggiungere i 100 mila e per farlo abbiamo assunto tanti giovani in azienda”.
La birra dello Stretto è un marchio inconfondibile per la Sicilia, lo sta diventando anche a livello nazionale. L'obiettivo è quello di crescere sempre di più anche all'estero?
“Sì, specialmente con la birra dello Stretto. L'etichetta di partenza è la birra dello Stretto con la DOC 15. La prima l'abbiamo dedicata alla città, perché è stata molto solidale con noi, la seconda fa riferimento ai quindici che producevano birra da 35 anni e hanno creduto in un sogno. Ora stiamo lavorando sul restyling di tutte le etichette per continuare a crescere in Italia e all’estero. Al momento, siamo arrivati a essere la terza etichetta nazionale. Già oggi esportiamo anche tra Canada, Francia, Belgio, Germania, Svizzera, Malta e Australia”.
La vostra azienda non racconta soltanto della qualità di un prodotto specifico, ma anche della forza dei lavoratori che uniti riescono a portare avanti un'idea.
“Se non ci fossero stati questi quindici soci, che sono stati pure identificati come pazzi, non si sarebbe arrivati da nessuna parte. La forza è stata quella dei quindici che hanno cercato di andare avanti con grande amore per questa città, con cuore e con fedeltà. Abbiamo ristrutturato e pitturato noi i capannoni, fatto gli impianti: già questa è una soddisfazione. E oggi possiamo dire che ce l'abbiamo fatta, ma ce l'abbiamo fatta con le nostre forze”.
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