L'Eccellenza di Torrefazione Haiti

Articolo di Vassily Sortino

Due fratelli e una promessa fatta al padre prima che morisse: continuare a tostare e produrre caffè mantenendo sempre le stesse ricette. C‘è l’onore della forza della famiglia dietro al lavoro di Luigi e Salvatore Cibella, responsabili della torrefazione Haiti in via Archimede 172 a Palermo. Qui, in uno dei pochi negozi rimasti in città a tostare e vendere il caffè macinato ai clienti in tempo reale, vigono le regole, gli odori e i sapori della tradizione. Con i due fratelli Cibella che già alle 7 del mattino tostano il caffè, riempendo la strada di un piacevole profumo che è diventato un simbolo di gradevole risveglio per gli abitanti della zona. Due veri artigiani dell’alimentazione sana Luigi e Salvatore, che temono di non potere avere degli eredi che continueranno il loro mestiere.

Storie che raccontano la magia del Made in Italy, con le video interviste disponibili su YouTube: 


Salvatore Cibella, quando nasce la torrefazione Haiti?

«Nel 1952, fondata da mio padre Giuseppe Cibella. In realtà si chiamava Giava, nome omaggio a una qualità di caffè. Nel 1961 ci siamo trasferiti in via Archimede e abbiamo cambiato nome in Haiti e da allora siamo qui a lavorare caffè ogni giorno per i clienti».

Da cosa parte la vostra capacità di fare caffè di qualità?

«Dalle ricette che nostro padre utilizzava e che ancora oggi noi utilizziamo, dopo avergli promesso che avremmo fatto per sempre il caffè così. I nostri caffè sono particolari, arabici e senza difetti. Facciamo il caffè macinato, le capsule e le cialde. Il nostro caffè è diverso perché è lavorato all’antica».



Quale è la tipologia di caffè più richiesta dai clienti?

«In genere le cialde e le capsule. I clienti richiedono il caffè  “universale”, robusto al 100 per cento. Poi c’è il caffè “tipo bar” e poi c’è l’”arabica”, che è un caffè salutare. Oggi tanti caffè provocano bruciore di stomaco e acidità. Questo dipende dalla qualità».

Quali sono i passaggi di lavoro nella tostatura del caffè?

«Si prepara la fornace con i tronchetti ecologici e la carta. Quando si raggiungono i 200 gradi, va inserito il caffè per la tostatura. Poi, con un gioco di valvole si tosta il caffè. Poi il caffè viene raffreddato, con il fumo che viene portato via verso una ciminiera. Le bucce che avanzano vengono poi raccolte da un cilindro, mentre i chicchi vanno nei sacchi e lì si fanno riposare per cinque giorni. Poi sono pronti per essere macinati».



Che futuro ha questo metodo di lavoro?

«Oggi a Palermo ci sono quattro torrefazioni. Sino a 10 anni fa eravamo ottanta. Questa è un’arte che si tramanda da genitori a figli. Adesso non lo vuole fare più nessuno e c’è difficoltà a trovare chi vuole imparare. Vorrei che qualcuno venisse qui a conoscere come produrre il caffè. Questa è un’arte. Si deve sapere tostare, miscelare e dosare. Non è un lavoro facile. È complicato con le ricette di un tempo».

Insomma, l’appello è lanciato: il lavoro c’è. Serve chi lo vuole fare. E i fratelli Cibella sono disposti a insegnarlo a chi vorrà mettersi di impegno.







 



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