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C’era una volta un gruppo di suore che, per salvare il convento in crisi, dopo il sequestro dei loro beni durante l’unità d’Italia, decise di portare avanti la vita economica del convento producendo dolci, da vendere ai nobili e alla borghesia palermitana, per autosostenersi. Questa è la storia de "La Dolceria di Santa Caterina". I segreti del chiostro sono ancora avvolti dal mistero, custoditi dentro il monastero di Santa Caterina in piazza Bellini a Palermo, la cui attività dolciaria è stata ripresa nel 2017 con lo scopo di valorizzare la pasticceria conventuale di Sicilia. Cannoli, biscotti e torte che sono diventati perno del turismo in città, con centinaia di turisti, ma anche di palermitani, disposti a fare lunghe file per gustare i sapori di una volta.
Maria Oliveri, lei è l’anima culturale de "La Dolceria di Santa Caterina", quale è la sua storia?
«In questo format nasce nel 2017 La Dolceria di Santa Caterina, contestualmente all’apertura al pubblico dell’ex monastero delle Domenicane. Si tratta di un progetto di valorizzazione di quella che era una attività tradizionale del monastero. Dopo l’unità d’Italia le monache avevano ricevuto il compito da un cardinale di produrre e vendere dolci, ma anche pasta per il loro sostentamento. Questo perché dopo il 1866 il monastero si era impoverito e molti beni eraso stati sequestrati dallo Stato. Uno dei grandi cespiti da cui le monache potevano attingere per la propria sopravvivenza era la produzione e la vendita dei dolci. Noi abbiamo ripreso questa attività, facendo preliminarmente un lavoro di ricerca delle antiche ricette che erano rimaste segrete per secoli, dato che venivano tramandate dalla monaca anziana a quella più giovane».
Vi occupare semplicemente di pasticceria?
«Non solo. Noi facciamo turismo culturale e non turismo massificante, dunque consapevole e che cerca di riscoprire quali sono le autenticità, i prodotti locali e le eccellenze del territorio. Noi offriamo al visitatore un prodotto che rispecchia un po’ quella che è tutta la tradizione della pasticceria siciliana. Dolci dimenticati che non si producevano più da oltre un secolo come le “fedde del cancelliere”, il “trionfo di gola” o le “minne di vergine”, ma anche, per esempio, la “Maria Stuarda” che si produceva a Palermo fino agli anni Settanta. Chi viene qui, quindi, fa un vero e proprio percorso sensoriale lungo il monastero e qui soltanto può assaggiare i nostri dolci alla fine dello stesso».
C’è un dolce che è un po’ il simbolo de La Dolceria di Santa Caterina e del suo monastero?
«Il dolce simbolo de La Dolceria di Santa Caterina è sicuramente il cannolo siciliano, che nasce in Sicilia e che è conteso nelle sue origini tra varie città. Le leggende più accreditate ci dicono che nasca a Palermo, addirittura ai tempi di Cicerone, dove si parla di un tubo di pasta fritto farcito di crema e che prende il nome dal fatto che precedentemente la pasta da friggere era avvolta in una canna. Noi produciamo le cialde ogni settimana. Uno dei segreti della nostra ricetta è l’aggiunta dell’aceto, che conferisce quelle particolari bolle e la croccantezza. Poi lo friggiamo nello strutto, come facevano le monache. Ingrediente principe è poi la ricotta, rigorosamente di pecora».
Come si è sviluppata l’azienda negli anni?
«Abbiamo iniziato quasi per gioco, per arricchire con i dolci il percorso dentro il monastero. In sette anni le cose sono cambiate e diamo lavoro a moltissimi giovani che si occupano della produzione dolciaria. Non usiamo semilavorati o creme già pronte, perché partiamo sempre da zero. Così, per esempio, acquistiamo la mandorla intera, che viene poi macinata e grazia ai suoi oli essenziali mantiene quel sapore particolare che conosce bene chi assaggia la nostra frutta martorana. Per quanto ci riguarda, a La Dolceria di Santa Caterina previlegiamo il lavoro manuale a quello delle macchine, che spesso surriscaldano gli impasti. Poi facciamo due tipi di frolla: al burro e con lo strutto. La seconda è la tipica frolla siciliana fatta dalle nostre donne. C’è uno smercio quotidiano dove preferiamo produrre meno, ma ogni giorno».
Quale il futuro di un luogo che respira di storia e di antico come La Dolceria di Santa Caterina?
«Stiamo riscoprendo a La Dolceria di Santa Caterina anche i prodotti salati, proprio perché le monache producevano delle ricette segrete che riguardavano la produzione di pasticci, focacce, sfincione di San vito, olive ripiene e melanzane. Sto facendo una ricerca di archivio e ho scoperto che nei libri di spesa custoditi nel monastero le monache annotavano tutti gli ingredienti che erano necessari per creare i piatti più importanti, da produrre durante le feste. Non solo il Natale o la Pasqua, ma la festa del santo protettore o di santi a cui ogni monaca aveva una devozione particolare».
Un aspetto, quello della cucina salata delle monache, che sarà sicuramente il tema del futuro libro di Maria Oliveri, che all’arte gastronomica all’interno dei monasteri femminili e al recupero delle ricette che nei secoli sono stati tramandati ha dedicato la scrittura di numerosi testi storici.
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