Lab Zen 2: borse e zaini artigianali

Articolo di Vassily Sortino

Una donna che, nel nome della sorella, vittima di violenza maschile, ha deciso di aiutare le altre donne dei quartieri più degradati di Palermo. E che oggi punta anche a fare integrare i migranti, sempre dando loro in mano un mestiere. È una vera missione progressista quella di Maruzza Battaglia, anima del Lab Zen 2, laboratorio di borse e zaini artigianali di altissima qualità, costruite a mano dalle donne dello Zen di Palermo, ovvero il quartiere simbolo in tutto il mondo di degrado, abbandono e luogo di proliferazione e radicamento della malavita nel capoluogo siciliano. Qui questa donna piccola e minuta ha deciso di dare del lavoro alle donne del posto e di fare del suo laboratorio, oggi uno spazio sequestrato alla mafia, un simbolo del lusso nel mondo.

Storie che raccontano la magia del Made in Italy con video intervista disponibile su YouTube: 


Maruzza Battaglia, quando è nato Lab Zen 2?

«Nel luglio 2008, quando entro per la prima volta nel quartiere Zen 2. Mettendo a frutto la mia esperienza nei negozi di abbigliamento della mia famiglia, ho voluto dare alle donne del quartiere l’opportunità di imparare un mestiere».


Perché proprio lo Zen 2?

«Perché è un quartiere che vive di assistenzialismo. Io ho voluto dare un lavoro alle donne, renderle indipendenti e dare loro la possibilità di andare avanti nella vita. Il mio percorso è iniziato con Rosi Antonelli. Era un lavoro casalingo e siamo arrivate a fare ben quaranta borse artigianali in un mese, lavorando di notte. Poi, per fare il salto di qualità, abbiamo ottenuto un finanziamento dal comune di Palermo che ci ha permesso di fare lavorare otto donne. Il nostro primo corso è stato fatto dentro la parrocchia dello Zen».

Dove si vendono le sue borse artigianali?

«Sono partita dalla mia credibilità come commerciante e le ho inizialmente vendute alle donne dei circoli sportivi e per ricchi di Palermo. Col passaparola mi hanno chiesto sempre più borse, anche grazie al successo mediatico e a interviste a Maurizio Costanzo e Vanity Fair. Io volevo che si parlare bene dello Zen 2, dove vivono il mafioso e lo spacciatore, ma anche tanta gente per bene».

Cosa voleva da questo quartiere e dalle sue donne?

«Che uscisse un prodotto di lusso. Io sono cresciuta tra le sarte. Ho fatto da ponte tra un quartiere emarginato e l’altra parte della città, dove vivono signore palermitane che qui non ci metterebbero piede. Dal 2017 stiamo in un bene confiscato vicino al quartiere. Mi hanno messo a disposizione inizialmente ville e altri luoghi da ricchi, ma io volevo restare nel quartiere e su strada. Questa era un ex officina di moto, chiusa da 15 anni, che ho fatto rimettere a nuovo grazie alle donazioni della gente comune che si fida di me».

Ed è a questo punto che ha assunto i migranti?

«Gente stupenda, con una voglia di lavorare pazzesca, con grandi capacità sartoriali. La regione e gli enti di formazione mi hanno pagato i loro tirocini per trenta ragazze e ragazzi africani, retribuiti per un anno. Tra tutti ho scelto un ragazzo della Guinea Bissau, arrivato con un barcone a 15 anni e che ora ha 23 anni ed è assunto a tempo determinato».

Delle tante borse artigianali qui prodotte, di quale va più orgogliosa?

«Di tutte, ma ne adoro una che si chiama “La bandita”, in onore del quartiere palermitano. Velluto da un lato e velluto di cotone dall’altro, con i bottoni automatici cucita a mano. Le mie borse hanno tutti nomi siciliani tratti dal dialetto. Lo faccio per insegnare la nostra lingua a quelli del nord Italia che le comprano».

Dopo tutto quello che lei ha fatto, quale potrebbe essere il futu​ro di Lab Zen 2?

«A questo punto del mio percorso vorrei che questo laboratorio con 16 macchine da cucire, pressa e macchine da stiro, diventasse patrimonio di chi formo. Vorrei che creassero una cooperativa. Il luogo è già pronto, anche per creare i loro prodotti. Non trovo giovani che credono in loro stessi e capaci di rendersi indipendenti. Questo è il mio progetto e il mio sogno. Io continuerò a oltranza, ma anche gli altri devono volere usufruire di queste macchine».

Intanto continua la battaglia di Maruzza, una mosca bianca dentro le Zen, per tenere vivo il laboratorio, tra donazioni volontarie, ma anche della politica. Così, dopo avere abbassato la saracinesca, il suo compito è incontrare il sindaco, gli assessori e il presidente della Regione per spiegare quel che dai tempi di Peppino Impastato tutti sanno della Sicilia: «La salvi solo con la bellezza».


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