Pastificio Feudo Mondello

Articolo di Vassily Sortino

La passione per la pasta è una tradizione di famiglia. È la certezza che ti coinvolge sin dal primo momento in cui si mette piede dentro il territorio – in piena Valle del Belice, nell’epicentro del devastante terremoto del 1968 - del Pastificio Feudo Mondello, in provincia di Palermo. Il suo amministratore, Alberto Agosta, cresciuto con una educazione cattolica e salesiana, ti accoglie come se fossi il primo dei suoi amici e ti accompagna lungo i campi coltivati a grano che dalla seconda metà dell’Ottocento appartengono alla sua famiglia. E qui cominciano i racconti sul grano, sulle tecniche di coltivazione ideali e su ciò che è adatto o no per fare la pasta. Già, la pasta. Perché poi Alberto ti porta dentro il pastificio, dentro quello che era un rudere ristrutturato, dove suo figlio e i suoi dipendenti, servendosi del supporto delle macchine, trasformano la semola in quella pasta secca – proprio quella che arriva prima al supermercato e poi cotta e fumante nelle nostre tavole - che nel suo caso viaggia dalla Sicilia all’Australia, passando per la Corea del sud. L’obiettivo è sempre lo stesso: «Creare – ripete sempre – una pasta con lo stesso colore del grano». 

Alberto Agosta, come spiegare il pastificio Feudo Mondello a chi non vi conosce?

«Un’azienda agricola di 270 ettari, tutta coltivata a grano, con il metodo dell’alternanza, di proprietà della famiglia Agosta dal 1870. Oggi i proprietari sono quattro cugini, che hanno formato un consorzio e dal 2017 abbiamo attivato il nostro mulino-pastificio che produce con la macinazione a pietra».



Cosa producete principalmente?

«Pasta integrale, con un impianto che si trova all’interno dell’azienda. Quindi la filiera è cortissima. Un chilometro zero dove il grano non esce mai dalla nostra azienda, se non quando viene trasformata in pasta. La particolarità del nostro prodotto è che con la macinazione a pietra manteniamo nel la crusca, cioè quell a pellicola che ricopre il chicco del grano e che l’industria dal secondo dopoguerra in poi, con i nuovi sistemi di macinazione, ha tolto, evitando così il rischio che la pasta potesse andare a male o produrre le tarme. Nelle macinazioni moderne è stato tolto anche il germe del grano, sostanza grassa che rischiava di rendere rancida le farine». 

In cosa si differenzia la vostra tecnica di produzione, rispetto a quella attuale e comune in altre aziende?

Noi abbiamo fatto un passo indietro nel metodo di lavoro, facendo la pasta di una volta, con la sua crusca e il suo germe. Selezioniamo la semola pregiata all’interno del chicco, mantenendo sempre una parte di crusca, per conservare quel minimo di fibra che agevola la digestione. La parte viene prodotta dentro il nostro pastificio con una pressa per i formati lunghi e corti. La vera differenza poi sta nell’uso della cella statica per l’essiccazione, dove usiamo le basse temperature, che non deve superare i quaranta gradi, per evitare di perdere gusto, profumo e colore del grano».

Quale è il vostro mercato di riferimento in Italia e all’estero?

«Anzitutto il mercato siciliano. In Italia siamo presenti a macchia di Leopardo. Stiamo esportando in Australia, corea del sud, Giappone e Francia».

Come si può differenziare una pasta dall’altra?

«In genere noi italiani, che siamo i più grandi consumatori di pasta al mondo, guardiamo il prezzo. Non deve essere così. Ci sono paste artigianali  e paste industriali. E la differenza sta nei processi e nell’essiccazione a temperature sotto i 40 gradi».



Quale sarà il futuro dell’azienda?

«Anzitutto è nel mulino a pietra e nel pastificio stesso. Poi l’azienda è gestia e lo sarà da mio figlio e da mio nipote, che conoscono il valore del nostro prodotto principale: il grano. Questo porterà a fare andare avanti l’azienda».

Solo un nemico a questo punto può fermare la Feudo Mondello: la siccità. «Quest’anno in Sicilia – racconta Alberto Agosta – è stata particolarmente intensa. Ci sono state davvero poche piogge. Le spighe, anche quelle autoctone, sono alte la metà di quello che dovrebbero essere. La pasta, comunque, si potrà fare».


 








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La Babbalucia
Articolo di Vassily Sortino