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Elegante e familiare, moderno e tradizionale, di tendenza e originale. Queste definizioni, seppure in contrasto tra di loro, sono rappresentative della doppia anima di Arago Design, un luogo fisico e ideale, dove la ricerca progettuale incontra la tradizione per creare dei pezzi unici di artigianato. Si potrebbe scrivere semplicemente che si tratti di artigianato abruzzese, perché i rifermenti al territorio sono molteplici, ma si limiterebbe il campo visivo di Elisabetta Di Bucchianico e Dario Oggiano: mente, cuore e braccia di questa realtà decisamente fuori da ogni facile definizione.
Tante collaborazioni, tanti racconti, ancora di più le ispirazioni. Ma raccontateci come nascono l’Officina delle Invenzioni e Arago Design.
L’Officina delle Invenzioni nasce nel 2004 come laboratorio di ricerca e sperimentazione nell’ambito della lavorazione della ceramica. Ci siamo formati come designer, ma poi, in quegli anni, ci siamo avvicinati alla dimensione dell’artigianato e dei prodotti fatti a mano. Inizialmente, la cosa più importante per noi era scoprire il comportamento di questo materiale, ovvero come l’argilla si espandeva sulle superfici, in un’ottica giocosa e ludica, per poi osservare quali potessero successivamente essere le opportunità progettuali e quindi anche commerciali. In questo contesto, ad un certo punto ci troviamo di fronte alla possibilità di evocare un oggetto molto noto e vicino alla nostra cultura enogastronomica, ovvero la ferratella, neola o pizzella che dir si voglia: una cialda tipica del nostro territorio, che nel nostro laboratorio viene realizzata lasciando espandere argilla liquida su uno stampo di gesso e quindi generando delle forme che sono sempre diverse e spontanee.
Tra tanti possibili simboli dell’Abruzzo, come mai siete partiti proprio dalla neola?
La neola rappresenta per noi l’oggetto dell’affettività e siamo partiti da questa idea perché nel nostro vissuto era centrale: la neola è l’omaggio alle nonne, al gesto della mamma e della nonna che ti prepara la merenda. Quindi abbiamo voluto replicare questo gesto ed è questo sentire che lega un po’ tutto il nostro lavoro: l’affettività, il racconto di quello che siamo, di quello che vediamo. Utilizziamo l’argilla come se fosse uno strumento per raccontare le cose che ci colpiscono e che vogliamo condividere con gli altri. La neola è anche ricerca e noi lavoriamo molto sulla ricerca, sull’osservazione del materiale.
Come vivete questa duplice natura, la dimensione progettuale e quella della bottega?
La nostra storia, suddivisa tra la dimensione progettuale di designer e la dimensione della bottega di ceramisti, apre ad un approccio duplice verso la ceramica, perché da una parte c’è la ricerca e l’osservazione della materia, oltre che il confronto con i temi dell’artigianato oggi e quindi l’individuazione di argomenti e temi che siano comunque riconoscibili e apprezzati anche dalla società, come ad esempio la neola. Però, dall’altra parte c’è un approccio di tipo progettuale in senso stretto, se vogliamo anche antropologico, nel quale tentiamo di capire il senso della creatività oggi, in una società, in un’epoca in cui di creatività applicata ce n’è veramente pochissima.
Quando avete deciso di investire in uno spazio aperto al pubblico?
La comprensione di quanto sia importante l’atto costruttivo, creativo, per una società ormai disabituata a vedere come si costruiscono le cose, è stata la chiave che ci ha portato a decidere di aprire uno spazio che fosse il più possibile rivolto e aperto al pubblico. Quindi è una sorta di esibizionismo, se vogliamo, della nostra creatività, che per noi è anche una necessità obiettiva, in un processo di rieducazione delle persone che ci osservano, poiché ci consente di raccontare temi che poi sono universali, che magari escono fuori in maniera non immediatamente esplicita da alcuni dei nostri progetti.
E a proposito di progetti, dove prendete l’ispirazione per le vostre creazioni?
Le nostre ispirazioni nascono dalla vita di ogni giorno, da ciò che ci circonda e possono essere le più diverse. Per esempio abbiamo il “Salva Pecunia”, che è il nostro salvadanaio a forma di pecorella nato dalla constatazione che la parola pecunia deriva dalla parola latina pecus, quindi denaro e pecora in qualche modo sono sinonimi.
Oppure c’è la “Stiria Perpetua”, questo ghiacciolo perenne che raccontiamo come una specie botanica perché siamo rimasti colpiti dall’apprendere che sulla Majella c’è una biodiversità unica al mondo. Immaginate questo fungo macroceto epigeo clavariaceo, appartenente alla famiglia delle bankeracee che nasce e cresce lì e poi le sue spore arrivano giù fino alla Costa dei Trabocchi. Questo è anche un modo per raccontare come l’uomo si sia sempre ispirato alla natura; e quindi chi ci dice che la prima persona che ha progettato un ghiacciolo non si sia rifatta ad un fungo che cresceva sulla Majella?
Poi c’è il “GranSassolino” che è invece un racconto in miniatura del nostro territorio; un piccolo vaso monofiore con un serbatoio di acqua, che quindi rappresenta anche un po’ la vita presente sulle nostre montagne, nel quale viene poi inserito un piccolo fiore reciso. Noi nel packaging abbiamo introdotto un fiorellino di confetti di Sulmona per raccontare un altro aspetto del nostro territorio.
Altro tipo di ispirazione ha dato origine alla “Gallina Retorica”. Questo è un concetto un po’ più universale e non legato al territorio, ma è la rappresentazione visiva della domanda retorica più tradotta nel mondo, ovvero: è nato prima l’uovo o la gallina? Per cui questo oggetto si compone di metà uovo e metà gallina. L’uovo è il contenitore, la gallina è il coperchio ed è uno scrigno porta cose preziose. La domanda retorica oscilla perennemente tra le due risposte e allora lo fa anche lei, perché la gallina retorica è un oggetto sempre in piedi.
Nelle vostre creazioni c’è anche molta innovazione, come ad esempio la versione “migliorata” della brocca medievale.
Tra i vari oggetti a cui teniamo particolarmente c’è questa versione innovativa della brocca medievale, la cosiddetta “brocca migliorata”, nella quale abbiamo sostituito il manico tradizionale con un manico la cui forma è stata ripresa da una caraffa in plastica. In questo modo la nostra brocca recupera in funzionalità e in maneggevolezza. Poi abbiamo pensato di declinare questo prodotto ispirandoci ad un tema della tradizione della ceramica abruzzese, ovvero le brocche di San Rocco che tradizionalmente provengono da Roccamontepiano, dove c’è il culto di questo santo. In questo caso abbiamo graficizzato l’immagine del santo raffigurata su una brocca degli anni ‘30 esposta al Museo delle Genti d’Abruzzo e abbiamo introdotto una nuova visione del santo, di schiena; questo gioco ci consente di svelare un messaggio: “non sprecare l’acqua” e quindi di deviare nella dimensione ecologica.
Ci sono altri temi particolari affrontati con le vostre ideazioni?
Con riferimento alla dimensione della tradizione alimentare e nell’ottica di affrontare il tema gastronomico, abbiamo creato la linea dei “microtipici”, che sono dei piccoli gioielli realizzati con dei piattini in porcellana della casa delle bambole, con il bordo in oro 24 carati, che però raccontano dei cibi specifici. Quelli che abbiamo definito appunto “microtipici”, ovvero quelli delle scampagnate, delle merende adolescenziali, tutti i cibi che per una frequenza di consumo vengono quasi banalizzati e non eccessivamente raccontati. Quindi, dietro a questi piccoli gioielli, che sono spille o anelli, c’è il sito web microtipici.it: attraverso un form, da tutta Italia, è possibile segnalarci queste abitudini comuni per chi le consuma quotidianamente, ma assolutamente esotiche per chi non le conosce.
Quest’anno ricorrono i 10 anni dalla fondazione del progetto MUSA (Mater Universalis Signorum Aprutii) di cui siete direttori artistici. Ci raccontate di cosa si tratta e come è nata questa avventura?
Il progetto MUSA è nato con la volontà di recuperare i decori delle coperte abruzzesi. Tutto è avvenuto in seguito alla scoperta di una misteriosa foto, di circa 100 anni fa, che ritrae una pecora dal vello decorato con i disegni delle coperte abruzzesi. Abbiamo chiamato questa pecora “Musa Ovina”, perché abbiamo pensato alla nascita di questo nuovo mito abruzzese, di questo animale che nasceva già con il vello decorato e con i suoi decori ispirava gli artigiani. In realtà è una metafora di quello che è successo davvero. L’artigianato è stato foraggiato dalla committenza, che erano poi i ricchi proprietari delle pecore. Quindi lo sviluppo dell’artigianato si deve anche alla pastorizia, sia come ricchezza sia come veicolo iconografico. Nel nostro piccolo noi cerchiamo di riprodurre questi decori sui nostri oggetti per cercare di continuare a perpetuarli. Dario ha anche scritto una bellissima favola con protagoniste queste pecorelle e una tessitrice che riesce a recuperare questi decori per ridare nuova linfa vitale alla creatività del suo paese, Taranta Peligna. E questa favola è stata adottata dal Florian Teatro Stabile d’Innovazione di Pescara, che ne ha fatto uno spettacolo bellissimo di teatro per ragazzi e continua a girare: non solo in Italia, ma anche all’estero, per raccontare questa pecorella così speciale, che noi cerchiamo di fare arrivare ai più piccoli come ideale di conservazione.
Quali sono le fasi di realizzazione di un vostro prodotto?
Proviamo a realizzare insieme una neola in ceramica. La prima cosa da fare è pulire lo stampo, perché la neola si genera con l’espansione dell’argilla fluida su questo stampo in gesso che riproduce la trama del tipico ferro delle neole utilizzato dalle nostre nonne. Ma, essendo un’espansione libera, qualsiasi granello di polvere può deviare e corrompere l’andamento dell’argilla stessa, quindi va pulito accuratamente. Successivamente mescoliamo l’argilla, che deve essere portata ad una fluidità particolare e la preleviamo con una siringa senza ago. Eliminiamo l’aria e prendiamo la quantità che ci serve per poi distribuirla sullo stampo. In questo caso ne realizzo quattro e con lo stesso gesto, la stessa densità e la stessa quantità abbiamo ogni volta un pezzo unico, come accade poi con le vere neole.
Trascorsi circa 35-40 minuti il gesso ha assorbito l’acqua che era contenuta nell’argilla, asciugandola e consolidandola. Adesso le timbriamo con il nostro marchio e piano piano, con molta cura per non rovinarle, iniziamo a staccarle dallo stampo. Ora l’argilla è diventata molto plastica, gommosa e la lasciamo ad essiccare su una tavoletta di legno poroso. Una volta asciutte le rifiniamo con una spugnetta umida per eliminare i difetti dovuti alla lavorazione e le cuociamo. In particolare, queste blu sono una novità. Serviranno a realizzare una linea bijou ispirata alle neole ma, con la variante del colore. Sono cotte ad alta temperatura, dove il colore è già nell’impasto, quindi non necessitano di una seconda cottura. Quelle che facciamo di solito, dopo la prima cottura, vengono smaltate e cotte una seconda volta per ottenere una neola bianca e lucida.
Quali progetti ci sono nel vostro futuro?
Abbiamo tantissimi progetti per il futuro. Di sicuro, dalla dimensione pastorale, legata al simbolo della pecorella, del salvadanaio, ci dedicheremo a qualcosa di più rappresentativo della nostra città.
Qui si vede il marchio di un esperimento commerciale, è un marchio barzelletta “Pino, Ennio e Gabriele Pescara in estrema sintesi”, nel quale si comincia ad intravedere un tema a noi molto caro, ovvero il pino d’Aleppo. Quindi uno dei progetti riguarderà in maniera esplicita questo simbolo della città di Pescara. Un simbolo della natura presente nella nostra città, un simbolo piuttosto delicato e fragile, considerati anche gli episodi drammatici degli ultimi anni, con gli incendi nella Pineta Dannunziana.