In un mercato internazionale sempre più frammentato e competitivo, il Made in Italy continua a essere un asset strategico. Non solo come etichetta identitaria, ma come vero e proprio driver di valore.
Il concetto di “italianità”, al di fuori dei confini nazionali, è oggi sempre più frammentato e dipendente dalla relazione con una domanda diversificata, esigente e culturalmente segmentata. In questo scenario, comprendere come il Made in Italy venga percepito non è più solo una questione di branding, ma di posizionamento strategico nei mercati esteri.
L’Italia come brand: reputazione, riconoscibilità e distintività
Secondo il Nation Brands Index 2024, l’Italia si colloca stabilmente tra le prime cinque nazioni al mondo per reputazione percepita, con performance elevate in ambiti quali design, enogastronomia, moda, meccanica di precisione e turismo culturale. Il Made in Italy è considerato una garanzia implicita di qualità, artigianalità e attenzione al dettaglio.
Non è più sufficiente evocare il marchio-Paese: occorre dimostrarne la coerenza con ogni touch point della value chain. Tradotto: ogni punto di contatto lungo la catena del valore — dalla progettazione del prodotto alla comunicazione, dalla produzione alla logistica, fino al servizio post-vendita — deve riflettere in modo autentico e coerente i valori distintivi del Made in Italy.
Gli operatori internazionali valutano oggi la brand authenticity sulla base di tre macro indicatori: origine certificata, narrazione coerente e performance sostenibile. L’etichetta Made in Italy può, dunque, costituire un vantaggio competitivo solo se supportata da un ecosistema imprenditoriale trasparente e capace di adattarsi alle dinamiche glocali.
Analisi geoeconomica: la domanda di italianità nei mercati chiave
Asia-Pacifico – Nei mercati high-growth come Cina, Giappone e Corea del Sud, il Made in Italy è posizionato nel segmento premium & luxury. La domanda è trainata da una classe media emergente, culturalmente attratta dall’estetica italiana e sempre più sensibile alla heritage storytelling.
Ma il successo sui canali digitali dipende anche dalla capacità di localizzazione. Un esempio concreto appartiene alla user experience multilingue, all’assistenza post-vendita dedicata e a contenuti visuali ad alto impatto: tutti prerequisiti per una penetrazione efficace.
Nord America – Negli Stati Uniti e in Canada, la leva competitiva è il lifestyle positioning. Il prodotto italiano ha valore nella misura in cui rappresenta un modello culturale aspirazionale. Qui, le imprese italiane vincenti sono quelle che operano un reframing dell’offerta.
Tradotto: le aziende non esportano semplicemente merce, ma esperienze italiane pensate su misura per i consumatori finali, attraverso format ibridi tra retail fisico ed e-commerce, strumenti in grado di generare una fidelizzazione con l’utente.
Germania, Paesi Bassi e Scandinavia – In Europa centro-settentrionale prevale un approccio razionale al consumo. I buyer valorizzano processi produttivi certificati (ISO, EMAS, IFS, solo per citarne alcunu), filiere tracciabili e impegno ESG. Il Made in Italy qui si afferma solo se accompagnato da compliance trasparente e da KPI misurabili in termini di sostenibilità.
Middle East e ASEAN – Parametri ancora differenti in mercati come EAU, Arabia Saudita e Vietnam, nei quali il prodotto italiano è percepito come status enhancer. Qui la funzione simbolica supera quella funzionale.
Le dinamiche di consumo sono fortemente influenzate dal contesto socio-politico e religioso. La capacità di adattare il branding ai codici locali – senza compromettere l’identità del marchio – è essenziale.
Best practice per una strategia di export efficace
Le imprese italiane che intendono consolidare la propria presenza all’estero devono strutturare un piano d’internazionalizzazione orientato sul lungo termine. Un processo che è possibile condurre attraverso alcune best practice chiave:
- Due diligence culturale e di mercato: prima di approcciare un nuovo Paese, è fondamentale condurre un’analisi PESTEL integrata da una matrice SWOT localizzata. Non esistono mercati “facili”: esistono mercati preparati.
- Strategie multicanale e omnicanale: integrare B2B e B2C, fisico e digitale, distributori e D2C. L’omnicanalità non è una moda, ma una necessità logistica e narrativa.
- Protezione dell’identità: registrare i marchi nei mercati target, evitare fenomeni di italian sounding, implementare blockchain o sistemi RFID per la tracciabilità della filiera.
- Investimento nella formazione: creare export manager con competenze verticali sul mercato di destinazione, dotati di intercultural intelligence e capacità di gestione relazionale a distanza.
- Cooperazione consortile: il piccolo è bello solo se fa sistema. Reti d’impresa, cluster territoriali e consorzi export possono amplificare la capacità di penetrazione sui mercati complessi.
Fascino e governance dell’italianità, ma occhio alle Stats
Il Made in Italy all’estero gode ancora di un capitale reputazionale significativo, ma non illimitato. E segnato anche dalle dinamiche geopolitiche attuali. I dati parlano chiaro: nel 2024, il settore dei beni strumentali italiani ha registrato un calo del 7,8% nei ricavi rispetto al 2023, con le esportazioni in diminuzione del 3,9%. Un danno pari a 36,2 miliardi di euro.
Seguendo questo flusso, l’export totale italiano nel 2024 ha segnato una flessione dello 0,4%, risultato della combinazione tra la crescita nei settori delle micro e piccole imprese (+3,0%) e il calo dell’1,6% nel resto della manifattura.
Nel frattempo, le previsioni per il 2025 e il 2026 sono state riviste al ribasso: l’export italiano dovrebbe crescere solo del 2,1% nel 2025 e del 3,3% nel 2026, valori inferiori rispetto alle stime precedenti, con una perdita cumulata di 36,7 miliardi di euro di esportazioni in due anni. Guerra in Ucraina, crisi in Medioriente e nel Sudest asiatico permettendo.
Per mantenere competitivo l’export italiano serve un cambio di paradigma: da “bello e ben fatto” a “credibile e ben gestito”. L’italianità va oggi gestita come una piattaforma identitaria in continua evoluzione, capace di dialogare con mercati esigenti, regolamentati e in costante mutazione.
In questo contesto, valorizzare il Made in Italy nel mondo non è solo missione estetica; è una sfida tecnica, sistemica e strategica. Un viaggio che parte dalla conoscenza del proprio prodotto e si compie quando quel prodotto riesce a comunicare – con coerenza e autorevolezza – con il resto del mondo.
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